L’angolo di Michele Anselmi

Ma che magnifico film è “Air. La storia del grande salto”, uscito con Warner Bros giovedì scorso, un po’ sottotono, anche se vedo che in tre giorni è arrivato a oltre 700 mila euro di incasso. Segna il ritorno di Ben Affleck alla regia, sì l’attore hollywoodiano, dopo il deludente “La legge della notte” del 2016 (ma prima c’erano stati titoli mica male come “The Town” e “Argo”). Affleck collabora con Matt Damon sin da dai tempi di “Will Hunting – Genio ribelle” e qui la coppia e si riforma, con l’aiuto della sceneggiatura perfetta firmata da Alex Convery.

Se avete visto il trailer, saprete di cosa si parla. Cioè di come la Nike riuscì a spiccare il volo, sul piano del prestigio e degli affari, convincendo l’ancora poco noto Michael Jordan a firmare un contratto in esclusiva da 250 mila dollari, più una Mercedes rossa e qualcos’altro che non riveliamo, con l’azienda di Portland allora diretta da Phil Knight, un ex fricchettone un po’ new-age.

Direte: spira aria da product placement, sembra uno spottone pagato dalla Nike per celebrare sé stessa… Invece no, è una grande storia americana, una metafora assai concreta, che certo fa nomi e cognomi, ma trapunta di sottotesti: il coraggio di rischiare, il fattore umano, l’audacia imprenditoriale, il senso della riscossa, le vite dei bianchi e dei neri. Anche la voglia di vincere: del resto, la parolina Nike fu scelta non solo perché di quattro lettere, e funzionava, ma pure perché indicava la dea della vittoria (alata).

Siamo nel 1984. Alla radio furoreggia “Money for Nothing” dei Dire Straits, Reagan è presidente degli Stati Uniti, la serie tv “A-Team” tiene incollati gli americani al piccolo schermo, Bruce Springsteen ha appena pubblicato “Born in the Usa”, che suona come una specie di inno patriottico anche se in realtà, ad ascoltarla bene, parla di un reduce dal Vietnam il quale fatica a reinserirsi e trovare lavoro (c’è una scena sul tema).

Sonny Vaccaro, ovvero Matt Damon, è l’esperto di basket della Nike. Sovrappeso, senza famiglia, gran scommettitore a Las Vegas, sempre vestito male, morbidi mocassini all’antica, l’uomo ha ricevuto un compito preciso: migliorare le quotazioni della Nike nel mondo della palla a canestro, scese, come quota di mercato, a un misero 17 per cento. I grandi campioni della Nba prediligono la Converse e l’Adidas, la Nike non piace, risulta spenta, dozzinale, senza appeal.

La partita sembra persa in partenza. Ma Sonny s’è accorto del talento di Michael Jordan, sa che quella “recluta” di Wilmington, North Carolina, diventerà un mito dello sport mondiale, e farà di tutto per convincere la madre del futuro campione a firmare con la sua azienda, sapendo che il giovanotto ha già deciso per la tedesca Adidas.

Il film, 112 minuti, rievoca con stile sobrio e dinamico, centrando il cuore emotivo della faccenda, l’umanissima strategia messa in campo da Sonny per ribaltare ogni pronostico e assicurarsi Jordan. Perché “una scarpa è solo una scarpa, finché qualcuno non la indossa”; e la sua idea è di costruirne una pensata apposta per lui, non viceversa. Appunto il modello Air Jordan.

Capitalismo, sogno americano, mercato e psicologia si mischiano in questa storia benissimo scritto e recitata che vola più alto di ciò che in fondo racconta. Damon è prodigioso, così “normale” e solitario, nel dare corpo e pancia al suo Sonny; ma tutti sono stati scelti con cura: da Jason Bateman a Chris Tucker, da Chris Messina a Marlon Wayans; per non dire di Viola Davis, che fa Deloris Jordan, la sagace madre del campione, la donna che guidò le sue scelte con senso degli affari e dell’etica. Peccato non sentirli in inglese coi sottotitoli.

Ho visto “Air. La storia del grande salto” al cinema Gabbiano di Senigallia, oggi pomeriggio, in sala eravamo in sei, purtroppo. Spero che sia andata meglio allo spettacolo delle 21.30. Perché c’è qualcosa di emozionante nel modo con il quale Affleck ripercorre quella vicenda che siglò non solo un trionfo di marketing e di guadagni.

PS. Potete non crederci, ma oggi mi facevano male i piedi, avendo molto camminato sulla spiaggia con delle vecchie e sformate Clarks. A casa avevo un paio di Nike che mi furono regalate anni fa. Senza pensarci le ho indossate: solo al cinema ho fatto mente locale.

Michele Anselmi