Tre anni dopo il successo un po’ inaspettato di Magic Mike, un piccolo film sui retroscena agrodolci di un’impresa di spogliarellisti costato all’eclettico cineasta Steven Soderbergh solo pochi milioni di dollari, arriva il secondo capitolo Magic Mike XXL. A seguito dell’annunciato ritiro dalle scene dell’autore di Traffic, che si limita a curare fotografia e montaggio sotto pseudonimo, la regia passa al suo fedele assistente, Gregory Jacobs (Criminal). Questo sequel, dai toni molto più leggeri e on the road, ritrova i protagonisti di quella che potremmo definire una boy-band di intrattenitori più che di spogliarellisti. Così si vogliono definire loro… “Dobbiamo essere noi stessi, non più cliché!” Quindi basta con gli spogliarelli a tema pompiere, poliziotto e militare! Il target del film è un pubblico femminile e gay affezionatosi al cult istantaneo, ma se nel primo capitolo – ispirato alla vera vita della star Channing Tatum prima di intraprendere la carriera cinematografica – erano presenti non pochi drammi e tematiche come droga, crimine e conseguente espiazione, ora Mike si mette un po’ in disparte per lasciar sviluppare i personaggi dei suoi colleghi e anche introdurne di nuovi. La presenza femminile, seppur marginale, è più forte in Magic Mike XXL. Così oltre ad esserci nuovamente un interesse amoroso per Mike, incarnato dalla fotografa Zoe (Amber Heard), a prendere in mano la conduzione del loro ultimo spettacolo non sarà più il camaleontico Matthew McConaughey, bensì due donne, la biondissima Elizabeth Banks e l’afroamericana Jada Pinkett Smith. Nel loro viaggio, a onor del vero privo di particolari scossoni a livello drammaturgico, incontreranno anche una ricca signora appena divorziata, interpretata da una vecchia gloria della filmografia soderberghiana, Andie McDowell.
Magic Mike, già semplice nella trama al suo primo e fortunatissimo giro, qui si trasforma in un viaggio di trasformazione, fatto di lunghe sequenze on the road che porteranno questi ragazzoni a scoprire l’ispirazione più verace per il loro spettacolo finale, a seguito di una lunga pausa. Il modo in cui procede la pellicola è debitore del filone musicale stile The Blues Brothers. Tant’è che oltre a varie gag, momenti di ironia e cameratismo più o meno riusciti, si aggiungono veri e propri numeri musicali e canori. Se alcuni degli “intrattenitori maschili” riescono ad evolversi rivelando il viaggio in sé più divertente della meta, altri di loro, in particolare Mike (Channing Tatum), sembrano uscirne non cambiati, ma tornati quelli che erano prima di cambiare strada o mestiere e causare proprio lo scioglimento del gruppo. I più simpatici e in vista risultano essere gli ‘anziani’, Joe Manganiello e Kevin Nash, coi loro piccoli acciacchi e difficoltà – seppur poco plausibili – sentimentali. Ma a fare da collante in questo film è più un’altra cosa: il sentimento nostalgico della familiarità fra e per i personaggi, aggiunto alla loro indubbia capacità di suscitare attrazione fisica e simpatia.
Tutto è sorretto dalle battute e dalle gag, spesso semi-improvvisate. Si ha il sospetto che lo sceneggiatore Reid Carolin, già autore del primo film, abbandoni ogni tipo di vera struttura narrativa per farsi sedurre da un’idea di spettacolo che può senz’altro funzionare, ma che, nel particolare caso del mondo del male entertainment, rischia di stordire confondendo due piani diversi, realtà e finzione. Lo spettacolo deve continuare, sempre e comunque. E così il film culmina nello show finale pieno di luci e musica, dilungandosi per una ventina di minuti forse eccessiva. Non si tratta di un film per una cerchia ristretta, come sostengono in molti: tanto Magic Mike quanto quest’ultimo film insegnano come nel mondo dello striptease maschile il punto non sia l’uomo e il suo predominio sulla donna, ma onorare l’altro. Fuori e dentro allo schermo.
Furio Spinosi