L’angolo di Michele Anselmi
“A volte devi truccare la bilancia per trovare l’equilibrio” teorizza alla fine della giostra l’affermato imprenditore madrileno Julio Blanco, che gestisce l’azienda di famiglia specializzata nella costruzione di “básculas”, cioè bilance industriali. Esce il 23 dicembre con Bim la commedia spagnola “Il capo perfetto”. L’ha scritta e diretta il regista Fernando Léon De Aranoa, classe 1968, ingaggiando di nuovo il suo attore prediletto: Javier Bardem. Di sicuro uno dei migliori film di questo Natale, perché fa sorridere e fa riflettere, in una chiave di satira acida e feroce, ma anche spumeggiante, con una punta di opera buffa.
Quasi vent’anni fa Bardem incarnò l’operaio disoccupato Santa nell’amarissimo “I lunedì al sole”, sempre dello stesso regista; adesso, con parrucchino fluente e qualche chilo in più, eccolo padre-padrone in quella che sembrerebbe un’impresa modello. Lui è “il capo perfetto” del titolo: a prima vista amato da tutti, perché comprensivo, generoso, magnanimo, all’occorrenza anche amico dei suoi dipendenti. Ma sarà vero? C’è un premio governativo in ballo, sicché Blanco deve far bella figura presso la commissione chiamata a valutare il grado di efficienza e produttività di quell’opificio, se non fosse che tutto sta per deragliare clamorosamente: sul piano personale e sul piano aziendale.
Avrete capito che l’equilibrio vagheggiato dall’ambizioso titolare in Jaguar e completo grigio chiaro è una solenne finzione, infatti la forza del film sta nel suo mischiare toni da farsa impertinente e affondi da commedia sociale, bonomia esibita e retroscena macabri. Non tutto torna nel corso dei 115 minuti, verso metà film mi pare che i casi personali del protagonista s’incartino un po’ sul piano della resa drammaturgica, ma certo De Aranoa ha mano felice nel gestire la complessa partitura degli eventi.
Per dire: un impiegato licenziato si piazza con tenda, striscioni e megafoni davanti all’ingresso della fabbrica; una stuzzicante stagista, peraltro amica di famiglia, stravolge la disinvolta routine sessuale del boss; un manager amico d’infanzia, o presunto tale, comincia a perdere colpi con effetti devastanti sulla produzione; un vecchio operaio-factotum ha un figlio razzista finito in carcere per aver picchiato degli immigrati, eccetera…
Amorale e meschino, il capitalista comincia a sbandare su tutti i fronti, ma a dargli conforto penserà “il principio di indeterminazione” enunciato nel 1927 dal fisico tedesco Werner Heisenberg: esso afferma che “la posizione e la velocità di una particella non possono essere misurate simultaneamente con precisione arbitraria”. E quindi…
Campione di incassi in patria e candidato a ben 20 premi Goya, “Il capo perfetto” è una macchina narrativa ben oliata che sprigiona simpatia. E certo Bardem molto si diverte con piglio da mattatore, a volte fin troppo per i miei gusti, nell’incarnare il suo Julio Blanco. Siamo un po’ dalle parti del francese “Potiche – La bella statuina” di François Ozon (2010), anche se lo spirito spagnolo è più acre e sanguinario, pure nella conclusioni ciniche, politicamente scorrette. Il cast è affollato di ottimi caratteristi, ma certo non passa inosservata la ventisettenne Almudena Amor, che fa la carrierista e disinibita Liliana, stagista sottovalutata da quella specie di Harvey Weinstein più presentabile (il paragone è stato fatto da Bardem).
Di solito diffido delle canzoni famose in inglese piazzate per cercare l’effetto, ma bisogna riconoscere che la scelta di “Feeling Good” by Michael Bublé per l’ultima inquadratura è perfetta.
Michele Anselmi