“Maid”, serie drammatica presentata disponibile su Netflix dal primo ottobre, sta riscuotendo un notevole successo. Tratta da un romanzo basato su fatti realmente accaduti, è la storia della difficile scelta di una giovane madre, Alex, di lasciare all’alba di un nuovo giorno la sua vecchia casa e Sean, compagno alcolizzato e violento con cui ha una figlia di appena due anni, la piccola Maddie. Da subito comprendiamo come, nonostante la decisione sia stata ormai presa e attuata dalla giovane donna, la strada verso l’indipendenza sarà tutt’altro che spianata. Alex non ha soldi per provvedere a sé e a sua figlia e, nonostante faccia il possibile per dare alla piccola un’esistenza dignitosa, le due si ritrovano spesso a dover ricostruire da capo tutto quello che con fatica (e un po’ di fortuna) erano riuscite a mettere in piedi, ma che puntualmente finisce per sgretolarsi.

Tra i numerosi tentativi e cambi di residenza, Alex lavora per pochi dollari come domestica dai ricchi di Fisher Island, nello stato di Washington. È brava, e tra le mura delle case di cui si occupa (da qui il titolo) fantastica una vita agiata, lontana da tutti i problemi che quotidianamente deve affrontare: il tormento del suo ex compagno, l’assenza di tutele adeguate da parte dello Stato, una madre con disturbo bipolare di cui puntualmente deve occuparsi, e preoccuparsi. A tormentarla sono anche i fantasmi del suo passato: i ricordi di un padre violento che riaffiorano sempre più vividi e spaventosi nella sua memoria, segno di un circolo vizioso di violenza domestica che lei stessa dovrà interrompere; e, come ci indica lo stesso nome della figlia, che sembrerebbe proprio il diminutivo di Maid, forse sarà proprio lei a riuscirci.

Tanti saranno gli incontri durante questa importante fase di transizione. Molti saranno solo comparse in questo suo spaccato di vita, altri arriveranno per restare. C’è un grande senso di solidarietà e di sostegno a permeare le vicende narrate. E sono questi a infondere un forte messaggio di speranza, nonostante il mondo della ragazza sia spesso oltremodo ingiusto, al punto da far arrabbiare persino lo spettatore, chiamato a un grande coinvolgimento emotivo durante la visione. La protagonista non ce l’avrebbe fatta senza quei preziosi aiuti esterni che invitano ad aprirsi all’altro nonostante tutto, anche quando la vita sembrerebbe spingere in direzione contraria, di chiusura e di paura del prossimo.

“Maid” quindi è un faro, che mette in luce le difficoltà che la vita può presentare, ma che decide di non fermarsi alla loro mera rappresentazione. È emozione che si trasforma in azione, e sceglie non solo di mostrare un male della società, ma anche di svelare – attraverso l’esempio credibile della protagonista, Margaret Qualley – come uscirne, quale sia l’atteggiamento giusto da adottare, a chi rivolgersi, a cosa prestare attenzione, quali passi compiere e quali no. Ma soprattutto che è possibile ricominciare, anche se non sarà facile.

Chiara Fedeli