L’angolo di Michele Anselmi 

Non è stato breve neanche stavolta, Alberto Barbera, nel presentare ad uno ad uno i 69 film che compongono il menù principale della 76ª Mostra del cinema di Venezia (28 agosto-7 settembre). Sì, ad uno ad uno, con tanto di trama e apprezzamenti. Il direttore della kermesse veneziana ha deciso che quella debba essere la modalità di presentazione, s’intende per non stabilire gerarchie a priori. A suo modo, una ”ratio” c’è, fosse pure per sfiancare i giornalisti.

Ma per venire alla sostanza bisogna leggere quanto Barbera scrive nel suo intervento per il catalogo, laddove si legge a proposito delle intenzioni: “Non più una definizione rigida e univoca di che cosa è cinema e cosa non è, ammesso che sia mai stato così, ma una libera e avventurosa disponibilità a mettersi in mare senza necessariamente conoscere la meta del viaggio”. Sarà anche per questo che la nuova sigla della Mostra, firmata da Lorenzo Mattotti, inquadra dall’alto una coloratissima barca che naviga, ancorché ripresa da un regista seduto su un dolly.

Sarà una Mostra all’insegna dei ritratti femminili, alcuni dei quali firmati da registe donne, e soprattutto delle minuziose ricostruzione storiche, magari con l’idea di trovare agganci con l’attualità, in linea con quel “cinema del reale” che ogni direttore di festival corteggia. Anche una Mostra scandita da ritorni illustri, perché aiuta la presenza di cineasti noti, considerati “sicuri”.

Tranquilli: come sempre ci saranno divi hollywoodiani in quantità, perché così chiedono televisioni e giornali. Poi, certo, l’Italia fa la parte del leone, si spera anche del Leone, con trenta titoli disseminati nelle diverse sezioni, tre dei quali in concorso. Chi sono? “Martin Eden” di Pietro Marcello, una libera trasposizione italiana del celebre romanzo di Jack London; “La mafia non è più quella di una volta” di Franco Maresco; “Il sindaco del rione Sanità” di Mario Martone, dal testo teatrale di Eduardo De Filippo. Sì, avete letto bene: Martone fa il bis, essendo stato in competizione anche l’anno scorso con “Capri Revolution”. Troppa grazia, secondo qualcuno; e certo sarebbe meglio allargare il ventaglio delle proposte pescando tra gli autori più diversi. Ma pare che il film napoletano sia davvero bello, e soprattutto non erano disponibili big come Nanni Moretti, Gianni Amelio e Matteo Garrone, tutti al lavoro sulle loro nuove cine-fatiche. A onor del vero batte bandiera italiana anche “Waiting for the Barbarians”, benché girato in inglese dal colombiano Ciro Guerra e interpretato da Mark Rylance e Johnny Depp.

Restando alla pattuglia italiana in gara, si ha la sensazione che si sia voluto puntare su cineasti non convenzionali, su film “con ambizioni più alte e sfide più radicali”, per dirla con Barbera, facendo di necessità virtù, anche per spiazzare e sparigliare, sulla base “di esclusivi criteri di valutazione estetica”. La controprova? “Vivere” di Francesca Archibugi e “Tutto il mio folle amore” di Gabriele Salvatores sono stati dirottati nella sezione, comunque significativa, dei fuori concorso; dove troveranno accoglienza anche gli assaggi mirati di due nuove serie televisive targate Sky: “ZeroZeroZero” di Stefano Sollima e “The New Pope” di Paolo Sorrentino.

Ma torniamo ai 21 concorrenti per il Leone d’oro: sulla carta sembrano particolarmente appetitosi, a scorrere l’elenco, “Wasp Network” di Olivier Assayas con Penélope Cruz e Edgar Ramírez, “Ad Astra” di James Gray con Brad Pitt e Tommy Lee Jones, “Ema” di Plablo Larraín con Mariana Di Girolamo e Gael García Bernal, “The Laundromat” di Steven Soderbergh con Meryl Streep e Gary Oldman, soprattutto “Joker” di Todd Phillips con Joaquin Phoenix e Robert De Niro. Per non dire di “J’accuse” dell’ottantenne Roman Polanski con Jean Dujardin e Louis Garrel: una puntigliosa ricostruzione dell’affare Dreyfus che vede tra i produttori l’italiano Luca Barbareschi.

Non ci saranno, purtroppo, “The Irishman” di Martin Scorsese e “A Rainy Day in New York” di Woody Allen, nei pronostici dati per quasi certi al Lido. Spiega Barbera che il primo, “un sogno che abbiamo tutti accarezzato”, non è proprio finito, a causa dei complicati effetti speciali necessari a ringiovanire Robert De Niro e Al Pacino in alcune scene; quanto al secondo, il distributore italiano Andrea Occhipinti, forse temendo strascichi polemici sul fronte “#MeToo”, non l’ha proprio proposto alla Mostra.

Vale la pena di ricordare, infine, che i due Leoni d’oro alla carriera andranno al regista Pedro Almodóvar e all’attrice Julie Andrews, mentre la giuria principale, presieduta da Lucrecia Martel, vedrà Paolo Virzì in quota Italia. Notizia utile: i posti a sedere a disposizione della Mostra, nelle diverse sale, sono saliti a 5.938. Parola del presidente della Biennale, Paolo Baratta.

Michele Anselmi