La Festa del cinema di Michele Anselmi
“The Place” doveva uscire inizialmente il 28 dicembre. Probile che a Medusa si siano resi conto, dopo averlo visto, di quanto il nuovo film di Paolo Genovese fosse poco “natalizio”. Infatti eccolo qui a chiudere la dodicesima Festa del cinema di Roma, cinque giorni prima dell’arrivo in sala in pompa magna. A occhio non incasserà quanto “Perfetti sconosciuti”, cioè oltre 17 milioni di euro. Da questo punto di vista, bisogna riconoscere che il regista romano, pronto per un’avventura americana, non è andato sul sicuro: poteva citarsi e variare appena la formula dell’asprigna commedia corale, invece ha preso una poco conosciuta serie tv americana del 2011, “The Booth at the End” di Christopher Kubasik (se ne fecero due stagioni), per “risuolarla” sul grande schermo variando i personaggi e l’ambientazione, ma non il senso dell’apologo morale.
Il titolo, in inglese, significa suppergiù “il posto in fondo”, cioè il tavolino più defilato di un “diner” in stile anni Cinquanta ove si siede il misterioso “The Man”, incarnato dallo straordinario Xander Berkeley, che fa succedere le cose. In “The Place”, dal nome di un locale simile, un po’ ristorante e un po’ caffetteria, è invece il barbuto Valerio Mastandrea ad accogliere i suoi clienti. L’Uomo è imperturbabile, insinuante, parla con calma, sa frenare l’impeto di chi gli sta davanti, non obbliga nessuno ad accettare le sue condizioni, e naturalmente annota tutto su una corposo libro, nel quale sembrano essere iscritti i destini di chi si rivolge a lui. Un po’ dio e un po’ demonio, o forse solo uno che la sa lunga, stipula “contratti” con uomini e donne faustaniamente pronti a spingersi oltre il lecito per esaudire i propri desideri. “Perché chiede cose così orrende da fare?” gli chiedono. “Perché ci sono persone disposte a farle” replica. E ancora: “Lei crede in Dio?”. “Io credo nei dettagli”.
Vorrete sapere chi sono questi strani clienti che visitano a turno il locale? Una giovane suora che ha perso la Fede, una vecchia signora col marito colpito dall’Alzheimer, un meccanico che sogna di passare una notte con formosa pin-up, eccetera. Nell’insieme otto, anzi nove a contare un ospite inatteso: a tutti l’Uomo chiede prove estreme, moralmente squassanti, quasi a saggiarne intenzioni e ipocrisie. Poi c’è la curiosa cameriera, dalla bellezza ancora non sfiorita, che si sente sola a fine turno e va pazza per l’accattivante “Sunny” di Bobby Hebb in serbo nel juke-box.
Undici personaggi, dunque, e certo Genovese ha potuto contare su una piccola “nazionale” del cinema italiano. Di Mastrandrea, ormai specializzatosi in personaggi ambigui o enigmatici, s’è detto. Accanto a lui ci sono Alba Rohrwacher, Vittoria Puccini, Silvia D’Amico, Giulia Lazzarini e Sabrina Ferilli sul versante femminile; Marco Giallini, Silvio Muccino, Alessandro Borghi, Vinicio Marchioni e Rocco Papaleo su quello maschile.
Fotografia desaturata, il nome del locale inciso su un neon rosso, undiluvio di pioggia battente, un décor senza tempo, quasi a dirci che “The Place” non è un posto reale, ma un luogo dell’anima, dove gli infelici sono spinti a fare i conti con se stessi, svelando pulsioni e desideri, tirando fuori il peggio o il meglio di sé.
Genovese definisce “umile intermediario” il suo malinconico demiurgo. Anche lui, forse, finirà col vacillare nell’epilogo ben congegnato dal regista con Isabella Aguilar. Avrete capito che il film, della durata di 105 minuti, è girato tutto all’interno di quello spazio chiuso, in forma di duetti, tra dissolvenze allusive e scarti del destino. Io l’ho trovato un po’ inerte, magari mi sbaglio. Non farà male, comunque, dare uno sguardo alla serie originale, magari per cogliere assonanze e differenze.
Michele Anselmi