L’angolo di Michele Anselmi
Era il 1968: Fabrizio De André, traducendo una maliziosa e anarcoide ballata di Georges Brassens, cantava “Il gorilla”, il cui ritornello faceva, i più agé ricorderanno: “Attenti al gori-i-i-i-illa”. Nel film che Luca Miniero manda nelle sale giovedì 10 gennaio, prodotto da Wildside e Warner Bros. Italia, non si accenna al celebre motivetto, però il titolo recita proprio “Attenti al gorilla” (sottotitolo: “Quando la famiglia è una giungla”). Un’altra commedia per famiglie, non dirò “family comedy” per carità di patria, in linea con la nuova tendenza del cinema italiano di svelto consumo. Di solito, in materia, la ciambella non riesce col buco sul piano commerciale, eccezion fatta per “La Befana vien di notte”, forse per la presenza di Paola Cortellesi, perché il film è quello che è.
Il napoletano Luca Miniero è il regista di “Benvenuti al nord” e “Un boss in salotto”, ma francamente si stenta a riconoscere il suo stile, popolaresco e scaltro, in questa sua nuova cine-creatura. Il cui innesco, leggo, viene da una sentenza americana che riconobbe lo status di “persona non umana” ai gorilla.
Ecco quindi l’idea di trapiantare un gorilla appena uscito da uno zoo, per verdetto del giudice, in una complicata/sgangherata famiglia di Salerno e dintorni. Siccome lo scimmione pensa con la voce tonante di Claudio Bisio l’effetto antropomorfo dovrebbe essere spassoso: lui osserva con indulgenza gli umani, avanza “il primato dei primati” e sostiene che “è la scimmia a discendere dall’uomo” e non viceversa. Solo che non ha tanta voglia di tornarsene in Africa, come pure a tratti sogna, essendo nato a Carate Brianza, avendo imparato ad alzare la tavoletta del water e canticchiando “Gelato al cioccolato” di Pupo.
Scritto dallo stesso Miniero insieme a Giulia Gianni e Gina Neri, il copione prova a rendere commestibile la trovata, e va bene che siamo nei paraggi del cinema per ragazzi (?); ma tutta la storiella brancola nel buio, avanzando per sketch spesso scollegati l’uno dall’altro, tra musichette allegre e allusioni fessacchiotte, in modo da farla marciare verso l’epilogo rassicurante. Che consiste nel far ritrovare a un marito separato nonché padre distratto il senso dell’amore, del sesso e naturalmente della famiglia. Non a caso la morale è affidata all’ultimo pensiero del gorilla: “Io sono diventato un po’ troppo umano, speriamo che voi siate diventati un po’ più animali”.
Miniero, nelle note di regia, descrive il suo film così: “Un racconto che parla dell’istinto spesso messo a tacere dalla famiglia e comicamente narra l’originale pensiero di un gorilla il quale guarda gli uomini convinto che Darwin si sbagliasse di grosso”. Purtroppo la commedia, pur infarcita di riferimenti progressisti allo “ius soli” e ai rimpatri, è loffia, a volte troppo urlata, a volte inutilmente onirica, nonostante l’impavida prova degli interpreti principali: che sono Frank Matano (con barba), Cristiana Capotondi, Lillo Petrolo, Francesco Scianna, Diana Del Bufalo e Massimo Di Lorenzo.
PS. Si può sorridere di tutto, naturalmente, ma ricordo che la colonscopia non è una specie di impalamento: dopo averla fatta non si cammina con le gambe larghe.
Michele Anselmi