L’angolo di Michele Anselmi

“Ma tu, per tenere tanti soldi, chi cazzo sei?”. Va subito al sodo il boss camorristico che, a Poggioreale, sveglia nottetempo quel giovanotto appena arrivato che tutti chiamano “Maestro”. In effetti 30 miliardi di lire, nel 1991, erano una cifra mica male, e parte da lì “Mixed by Erry”, il simpatico film di Sydney Sibilia da giovedì 2 marzo nelle sale, producono Grøenlandia, Rai Cinema e Netflix. Sibilia, ricorderete, è quello del trittico “Smetto quando voglio” e del più recente “L’incredibile storia dell’Isola delle Rose”. Oggi quarantunenne, il regista e sceneggiatore trova di nuovo nel produttore/collega Matteo Rovere il complice ideale per girare un’altra commedia in bilico tra cronaca vera, fantasia criminale e apologo irriverente.
Erry sta per Enrico Frattasio, napoletano di Forcella: insieme ai fratelli Peppe e Angelo, mise in piedi negli anni Ottanta una lucrosa industria di contraffazione musicale. Si calcola che i tre duplicarono, nel giro di sei anni, 180 milioni di cassette, dando vita a una sorta di etichetta discografica, tanto alternativa quanto illegale, appunto “Mixed by Erry”, capace di superare per giro d’affari le più potenti aziende italiane del ramo. Quando furono arrestati, annusando la rivoluzione tecnologica, erano già passati alla falsificazione dei cd.
Sulla strabiliante truffa c’è un libro di Simona Frasca, docente di Etnomusicologia all’Università Federico II di Napoli, che esce il 10 marzo; ad esso hanno certamente attinto Sibilia e lo sceneggiatore Armando Festa, nei modi di una certa serialità all’americana cotta in salsa partenopea. Infatti, dopo l’incipit suddetto che apre il racconto al flashback retrocesso al 1976, spira un’aria da “Pacco, doppio pacco e contropaccotto”, con i tre svelti ragazzini che aiutano il padre a smerciare false bottiglie di Jack Daniel’s, col tè al posto del bourbon.
Crescendo, il timido Enrico, aspirante dee-jay che arrotonda facendo il garzone in un negozietto di elettrodomestici, scopre quanto sia redditizio duplicare e antologizzare i dischi ufficiali dei gruppi “new romantic”, rivendendo il tutto a prezzi più bassi, naturalmente in nero. Il fiorente commercio s’ingigantisce in pochi mesi, anche grazie agli 8 milioni di lire ricevuti in “prestito” da un usuraio, e a quel punto si uniscono stabilmente alla ditta Peppe e Angelo, l’uno dotato di discreta faccia tosta, l’altro appena uscito dal carcere minorile. Una Lamborghini gialla è il primo vistoso segnale del salto di qualità, e poi abiti, case, lussi; il tutto nella distrazione generale della Guardia di Finanza, ancora presa dai contrabbandieri di sigarette, ma non della camorra che fiuta l’affarone…
Essendo gli anni magici di Maradona al Napoli, qualcosa di “È stata la mano di Dio” forse filtra nella ricostruzione d’ambiente in certi scorci o accenti, anche se Sibilia non parla di sé: la lucida ascesa alla ricchezza del terzetto, che si sente intoccabile, vale come spunto per raccontare con complice sguardo quel certo mix di fiuto, scaltrezza e amoralità. Pensate: i tre arriveranno a gestire dieci “laboratori” clandestino, facendo lavorare un centinaio di persone. Il loro capolavoro? Le compilation dei festival di Sanremo già smerciate sulle bancarelle a 5.000 lire al secondo giorno delle kermesse televisiva.
Ricolmo di canzoni ben distribuite nel rievocare i gusti giovanili dell’epoca, “Mixed by Erry” è da vedere fino alla fine, anche dopo i titoli di coda (c’è una doppia sorpresa). Naturalmente si allude ai guasti connessi alla “pirateria”, anche se nessuno sembra uscire innocente, inclusa la potente società milanese che lucrò sulla faccenda vendendo ai tre napoletani cassette vergini per miliardi di lire.

Luigi D’Oriano incarna l’Erry in questione, tra tenero e spaesato, forse sin troppo, mentre i due fratelli hanno le facce, la grinta e il dialetto di Emanuele Palumbo e Giuseppe Arena. Ma tutto il contesto napoletano è ben servito, a partire da Adriano Pantaleo che fa il padre imbroglioncello, Cristiana Dell’Anna nel ruolo della rassegnata mamma e Francesco Di Leva nei panni dello sbirro ossessionato, un po’ in stile “Monnezza”. Un applauso va a Fabrizio Gifuni, che attribuisce al manager milanese Arturo Maria Barambani (omaggio a Fantozzi?) la giusta dose di cinismo e avidità, salvo poi tirarsi indietro appena lo scandalo rischia di lambirlo.

Per la cronaca: 1) solo nel 1996 sarebbe nata la FPM, che sta per Federazione contro la pirateria musicale e multimediale; 2) i tre fratelli furono condannati ciascuno a quattro anni e sei mesi di carcere.

Michele Anselmi