L’angolo di Michele Anselmi | Scritto per Cinemonitor
Ho sottomano gli incassi del 20 marzo. Per incontrare un film italiano bisogna scendere al decimo posto della classifica, dove figura “Questione di Karma”, che lunedì, il giorno in questione, ha incassato in tutto 9.946 euro, benché in sala con 203 copie. Non lo dico per infierire sul cinema nazionale, sennò l’amico Robert Bernocchi mi fa il rimbrotto. Ma solo per segnalare il crollo di interesse, giustificato o preoccupante a seconda dei punti di vista, nei confronti delle commedie nostrane.
Giovedì 23 ne escono altre due, “Slam. Tutto per una ragazza” di Andrea Molaioli e “Non è un Paese per giovani” di Giovanni Veronesi. Entrambe corteggiano decisamente al pubblico attorno ai vent’anni, quello che di solito va poco al cinema e vede tutto (o quasi) in streaming sul computer. L’una trasferisce a Roma un romanzo del 2007 dell’inglese Nick Hornby; l’altra trasferisce a Cuba una trasmissione nata su Radio2 e condotta dallo stesso Veronesi. Non so come andranno sul fronte del botteghino, spero bene per chi vi ha investito dei soldi. Ma so – questo è un parere altamente personale, quindi del tutto opinabile – che non sono all’altezza dei temi proposti. Difettano, per sintetizzare un po’ brutalmente, di stile, originalità, buona recitazione, profondità, sguardo, senso del cinema.
Molaioli adotta il libro di Hornby ma finisce col proporre una variazione sul tema del recente “Piuma” di Roan Johnson. Cioè la storia di due adolescenti romani che si ritrovano a fare i conti, a quella tenera quanto sventata età, con l’arrivo di un figlio non previsto. Già perché Samuele, detto Sam, giovanotto molto bellino con la passione per lo skateboard e una mamma “alternativa” che lo partorì giovanissima, scopre allo scoccare dei 17 anni che la fidanzata pariolina Alice è incinta.
Avrete capito che Sam, cioè Ludovico Tersigni, venera il campione americano di skate Tony Hawk, asceso al ruolo di “amico immaginario” e di padre spirituale, ma intanto deve misurarsi con quella gravosa responsabilità mentre la graziosa fanciulla, cioè Barbara Ramella, vede crescere il pancione e ogni tanto svalvola. Il Sogno Californiano dovrà attendere. Quanto alla giravolta rischiosa che non riesce, detta “900”, bisognerà attendere tutto il cine-romanzo di formazione perché il tempo sia maturo.
Una citazione cinefila da “Un maledetto imbroglio” di Pietro Germi; tre cosiddetti flashforward, cioè il futuro immaginato a mo’ di incubo ma subito riconvertito in realtà; canzoni di culto come “Sometimes You Need” di Rufus Wainwright, usata anche come snodo narrativo. Ogni tanto si sente la mano leggera e sapiente di Francesco Bruni, qui sceneggiatore accanto al regista e Ludovica Rampoldi, ma per il resto siamo nel bozzetto romano abbastanza prevedibile, con Luca Marinelli e Jasmine Trinca che coloriscono i genitori di Sam, dolcemente scellerati e naturalmente separati, opposti a quelli ultra borghesi di lei, incarnati da Pietro Ragusa e Fiorenza Tessari.
Non migliorano granché le cose, anzi, con “Non è un Paese per giovani”, che segna il ritorno alla regia di Giovanni Veronesi a tre anni da “Una donna per amica”. L’intento è certo apprezzabile, cioè dare voce a quel malessere diffuso, frutto di una progressiva ingiustizia, che spinge “la meglio gioventù” italiana a cercare lavoro all’estero per sfuggire a un destino di umiliazione esistenziale e dipendenza economica. Veronesi ha raccolto decine di testimonianze video, alcune delle quali appaiono sui titoli di testa e di coda, e quel sentimento di legittimo orgoglio misto a ripudio della madre patria si trasforma nella storia di Sandro e Luciano, due camerieri romani di estrazione proletaria che partono per Cuba alla ricerca di un futuro possibile. L’idea è di aprire un ristorante italiano su una spiaggia incantata dell’isola caraibica, con tanto di wi-fi per concessione governativa; ma arrivando a l’Avana, dove li attende un’adorabile sciroccata in shorts e capelli rasati, dovranno mettere il tappo a molte illusioni.
Cuba non è proprio una novità per il cinema italiano di commedia, anche se Veronesi presto fa inclinare la vicenda verso il tragico, mostrando il lato oscuro non solo dell’isola post-castrista ma anche di quei tre italiani sradicati, ciascuno dei quali alle prese con qualche fantasma doloroso. Tra echi sanguinosi di “Fight Club” e scene da “Il vecchio e il mare”, il film si propone quasi come un rito di iniziazione, una ballata “on the road” in bilico tra esotismo minaccioso e romanità saporita. I tre sono Filippo Scicchitano, Giovanni Anzaldo e Sara Serraiocco, non sempre intonati nella recitazione sopra le righe; mentre Sergio Rubini e Nino Frassica portano lo sguardo adulto, anche il retrogusto comico/patetico. Echeggiano frasi stentoree come “Siamo una zavorra da piazzare per acquietare qualche coscienza”, le musiche dei Negramaro, spalmate dappertutto, fungono un po’ da marchio identitario, generazionale, d’autore.
Michele Anselmi