L’angolo di Michele Anselmi 

C’è una ragione al mondo per la quale “Molly’s Game” debba durare 140 minuti? No. Aaron Sorkin è un bravo sceneggiatore, ha scritto film come “Codice d’onore” e “L’arte di vincere”, ma nel passare alla regia con questa autentica storia di poker clandestino e celebrità hollywoodiane avrebbe fatto bene a sforbiciare un po’, magari ascoltando qualche consiglio.
La Molly del titolo fa di cognome Bloom, come il personaggio inventato da James Joyce, pensando all’omerica Penelope, per il suo romanzo “Ulisse”; solo che non c’entra nulla con l’Irlanda del primo Novecento. Quest’altra Molly, nata nel 1978 in Colorado, era destinata a diventare una campionessa olimpica dello sci, ramo discesa libera, se un grave incidente durante una gara non l’avesse portata, dopo una grama gavetta californiana da cameriera in canottiera e hot pants, a trasformarsi in una scaltra e audace organizzatrice di partite clandestine di poker. Forse la più famosa e temuta, tanto da essere arrestata il 16 aprile 2013 da una squadra di agenti federali armati fino ai denti con l’accusa di aver praticato gioco d’azzardo a livelli siderali e d’essere finita in combutta con mafiosi russi.
La sua storia piuttosto avventurosa, desunta dal libro autobiografico “Molly’s Game”, è ora un film interpretato da Jessica Chastain, che ha solo un anno in più della vera Molly Bloom, e s’impossessa del controverso personaggio con grinta e adesione ammirevoli. Senza di lei il film, nelle sale dal 19 aprile con 01-Distribution, non esisterebbe, l’ha riconosciuto pure la vera “Poker Princess”, ben felice di farsi fotografare accanto all’attrice californiana durante la promozione.
Naturalmente la ricostruzione del fatto criminale è meticolosa, pilotata con qualche eccesso dalla voce narrante della protagonista (ben doppiata da Chiara Colizzi), dentro un andirivieni temporale volto a intrecciare infanzia, vocazione, prime esperienze e caduta rovinosa della giovane donna che fu capace di scalare il mondo esclusivo del poker clandestino. Ne esce il ritratto di una sexy-ribelle “senza eroi”, piuttosto anaffettiva e cinica, capace di amministrare la proprio bellezza con scollature mozzafiato, in rotta col padre psicologo autoritario e fedifrago, s’intende abile nell’attrarre a sé stelle di Hollywood, giganti dello sport e big degli affari per giocare partite nelle quali si perdeva anche 1 milione di dollari.
Divi come Tobey Maguire, Ben Affleck, Leonardo Di Caprio, Matt Damon entrarono nel suo ricercato giro, prima a Los Angeles e poi a New York; e magari Molly l’avrebbe fatta franca, considerate le leggi federali, se a un certo punto, per mettersi in proprio e schiantare la concorrenza del becero Darin Feinstein, non avesse cominciato a prendere una percentuale del 2 per cento sulla posta in gioco. Il film non fa nomi e cognomi, a parte quelli della famiglia Bloom, ma chi è del ramo riconoscerà, dietro gli pseudonimi e il trucco, alcuni dei danarosi pokeristi.
Brillante e scaltra, a suo modo coerente nel non voler trascinare nello scandalo molti dei suoi facoltosi clienti, Molly Bloom trova in Jessica Chastain un’incarnazione perfetta: a suo agio sui tacchi vertiginosi e negli abiti (circa una novantina) che le strizzano le tette, dura come la pietra anche quando finisce pestata a sangue da un mafioso, scaltra come poche nell’organizzare quei tornei per pochi, dove si scucivano anche 250 mila dollari solo per entrare, senza contorno di droghe e prostituzione.
Kevin Costner e Idris Elba sono funzionali al racconto, rispettivamente nei panni del padre-padrone che alla fine si confessa sulla panchina e dell’avvocato nero che si prende cura di lei vincendo l’iniziale sospetto. Ma è il film, nel suo insieme, a perdersi un po’ strada facendo, salvo riprendersi nell’epilogo pure toccante, forse per l’eccesso di informazioni, episodi e digressioni che offre allo spettatore. Succedeva qualcosa del genere anche in “American Hustle” e in “La grande scommessa”.

Michele Anselmi

(Nelle foto: Jessica Chastain nel ruolo di Molly Bloom e la vera Molly Bloom)