L’angolo di Michele Anselmi 

È un peccato che gli spettatori italiani debbano aspettare il prossimo 25 aprile, causa sciopero dei doppiatori, per vedere in italiano “Mon crime. La colpevole sono io”, la scintillante commedia di François Ozon che uscirà nelle sale targata Bim. Ma intanto chi vive a Roma, se trova posto, potrà gustarlo in originale sottotitolato al cinema Nuovo Sacher di Nanni Moretti, stasera mercoledì 29 marzo, ore 19.45: infatti apre la XIII edizione di “Rendez-Vous”, la bella rassegna dedicata alle novità del cinema transalpino.
Ozon, classe 1967, fa un film all’anno, l’uno diverso dall’altro e in genere tutti riusciti. Per restare agli ultimi: “Estate ‘85” nel 2020, “È andato tutto bene” nel 2021, “Peter von Kant” (inedito da noi) nel 2022 e adesso questo “Mon Crime”, dove molto si ride e un po’ si riflette, all’insegna di uno spettacolo purissimo, per tempi, abiti, acconciature, scenografie, allusioni e strizzatine d’occhio.
Alla base c’è una pièce del 1934, scritta da Georges Berr e Louis Verneuil, anche se Ozon fa prendere aria alla commedia senza snaturarne la vocazione teatrale e mettendoci del suo: un mix elegante, all’antica, di misoginia e proto-femminismo, di perfidia e caricatura, lasciando che lo spettatore alla fine si faccia una propria idea sulla moralità parecchio amorale della vicenda.
Siamo nel 1935, a Parigi, poco prima del Fronte Popolare al potere. L’aspirante attrice Madeleine Verdier esce di corsa da una lussuosa villa di Neully, assai turbata. Un vecchio produttore, un po’ in stile Harvey Weinstein, l’ha sessualmente aggredita e lei ha dovuto difendersi, prima di scappare. Solo che di lì a poco l’uomo è stato ucciso con un colpo di pistola e tutte le tracce portano a lei. Difesa dall’amica e coinquilina Pauline Mauléon, forse lesbicheggiante, certo squattrinata come lei, la ragazza bionda e formosa prima respinge ogni accusa, ma durante il processo, sentendo montare un’onda di simpatia nei suoi confronti, si dichiara colpevole dell’omicidio, diventando una celebrità nazionale per aver reagito al porco che voleva abusare di lei.
Non solo viene assolta, ma arrivano contratti, cinema e teatro, soldi, una casa lussuosa, proposte di matrimonio da uomini danarosi. Tutto sembra andare per il meglio. Se non fosse che la vera colpevole, sentendosi oscurata dalla bugiarda, bussa alla porta e reclama la sua parte, minacciando di rivelare l’inghippo alla stampa.
Essendo una commedia poliziesca, sia pure intrisa di situazioni buffe e dialoghi spumeggianti, “Mon crime” gioca su diversi piani: evoca il cinema impertinente di Howard Hawks e certe atmosfere di Sacha Guitry, cita “Amore che redime” di Billy Wilder con la diciassettenne Daniel Darrieux e richiama l’epoca del muto con Abel Gance, ma soprattutto mette alla berlina i maschi, di ogni età, ritratti come ignavi, fessi, pomposi, incapaci, facilmente raggirabili.
Ha ragione Marzia Gandolfi, una che s’intende di cinema francese, quando loda “la perfidia intrigante di un film che dietro il divertissement e i virtuosismi verbali si rivela più sovversivo di quanto le sue buone maniere lascino intendere”. Proprio così. Nel senso che la scalata sociale passa per una scanzonata dose di manipolazione della verità e dei fatti, ma a quel punto anche le due vispe fanciulle dovranno fare i conti con una “collega” pronta a farsi valere, diciamo per la serie “Eva contro Eva”.
Nadia Tereszkiewicz e Rebecca Marder sono Madeleine e Pauline, leste a capire come trattare i maschi per raggirarli senza darglielo a vedere, ma poi i fuochi d’artificio arrivano con le partecipazioni speciali : da Fabrice Luchini a Isabelle Huppert, da Dany Boon a André Dussollier.
In fondo, è vero: “Mon crime” chiude una sorta di ideale trilogia sull’arguzia femminile e le convenzioni sociali cominciata con “8 donne e un mistero” e proseguita con “Potiche. La bella statuina”. Buon divertimento a tutti: alle donne vittoriose e agli uomini perdenti.

Michele Anselmi