Nel 1978 ho avuto l’occasione di avere Aldo Moro come “attore” per la sequenza finale del film da me diretto, Forza Italia! Sembra incredibile ma la sua vita e la sua morte si sono incrociate con il destino di quel titolo, uscito in sala poco prima del suo sequestro. Prima dell’incontro con Moro, sento il bisogno di commentare le “celebrazioni” di questi giorni per il quarantennale di quella tragedia. Fa impressione ascoltare le interviste alle Brigate Rosse. Prendiamo Mario Moretti, la mente del commando, secondo alcuni una spia, secondo altri un rivoluzionario. Racconta l’accaduto come uno storico imparziale parlerebbe di fatti che non lo riguardano. Una freddezza, una distanza, un disinteresse umano da meritare l’Oscar per l’interpretazione non protagonista. È come se i cronisti del tempo avessero intervistato Bruto. E anziché parlare della congiura, si fosse messo a dissertare dei gladiatori al Colosseo. A sentire le BR si ha la sensazione di una loro estraneità, quasi sequestro e delitto li avesse commessi qualcun altro. Nessuna sofferenza, nessun senso di pietà. Solo una pervicace autodifesa, salvo il rammarico di non avere vinto. Che sia morto un uomo sembra non interessare, quasi che la storia appartenga solo ai vivi e non anche ai morti. Devo ammettere che anch’io, pur se con fini diversi, ho attirato Moro in una trappola. Forza Italia! è un film a suo modo unico, realizzato da un gruppo di incoscienti, che non si rendevano conto di quanto l’avrebbero pagata. Di lì a poco infatti fu ritirato dalla circolazione per rispetto allo stesso Moro, che ne era tra i protagonisti. Già il manifesto ebbe problemi, per la lezione di anatomia di Rembrandt, con al posto dei chirurghi i capi DC e in alto, quasi a benedirli, proprio Moro. Quando gli chiesi di poterlo filmare per la scena finale, gli scrissi che si trattava di un documentario sui 30 anni della Repubblica italiana. Mancava la precisazione che si trattava di un impietoso atto di accusa, trattato a mo’ di satira. L’avesse saputo, certamente non mi avrebbe dato appuntamento nella sede DC a piazza del Gesù. Né avrebbe acconsentito a girare il suo arrivo in auto, scendere, levarsi il cappotto, sorridere in primo piano e avviarsi stancamente verso il suo ufficio. Ripreso al rallentatore la sua immagine fu montata prima dei titoli di coda, accompagnati dalle note di Ennio Morricone. Moro fu gentile e mi pose qualche domanda. Sapeva che avevo scritto un pamphlet, Senza chiedere permesso, che aveva aperto il fronte delle radio libere e contribuito a far cadere il monopolio della Rai. Sapeva che la sceneggiatura del film era firmata da Antonio Padellaro e Carlo Rossella, la cui conoscenza lo rassicurava. Mostrò simpatia quando dissi che come lui venivo da una famiglia di origini pugliesi e che una mia antenata a Modugno aveva donato ai frati la chiesa di Sant’Agostino. Forse immaginò che condividessi gli ideali politici dei cattolici e glielo lasciai pensare. Non lo rividi più. Lo seppi indignato quando uscì il film, che vide in una saletta privata. Padellaro e io eravamo fuggiti da una proiezione alla presenza dei leader DC. Temevamo una rappresaglia e lasciammo poco coraggiosamente sola la nostra produttrice Elda Ferri, che a fine proiezione si trovò ad affrontare il loro sdegno. Non s’erano mai visti messi alla berlina in carne e ossa, con nomi e cognomi. Moro chiamò Scalfari, per chiedere se si potesse “mitigare” la recensione troppo favorevole di Repubblica. Non fu esaudito. A sparare contro di noi ci pensò la stampa DC, dal Popolo a La Discussione. Non fu da meno l’Unità, in sventurato odore di compromesso storico. Quando il 16 marzo il film fu tolto dalla circolazione nonostante l’entusiasmo del pubblico, noi autori diventammo i più interessati, insieme alla famiglia, a sperare che lo statista tornasse vivo. Mai però mi sarei aspettato che nei giorni della prigionia Moro potesse ricredersi e giudicare il ritratto che avevamo fatto del suo partito sacrilego ma veritiero. Infatti nelle ultime righe del memoriale scritto di suo pugno, ritrovato a Milano nel covo BR di Via Monte Nevoso, ebbe a ricordare le sequenze che immortalavano i suoi “amici” al Congresso DC mentre si scannavano. Suggerì di vedere Forza Italia! per rendersi conto di chi fossero davvero. Mentre lui ora lodava la pellicola, altri pensarono a cancellarla e io per oltre 15 anni non ho più potuto fare film in Italia. Sono sicuro che Moro mi perdonò per avergli mentito. C’era una ragione.
Roberto Faenza