Il buon successo di Dracula portò la Universal a puntare su un altro romanzo dell’orrore, e la scelta ricadde su Frankenstein ovvero il prometeo moderno di Mary Shelley. Così come per la precedente pellicola di Tod Browning, la casa di produzione acquistò i diritti della trasposizione teatrale che vedeva ancora coinvolto lo stesso John L. Balderston. Ma questa volta lo script non si attenne al testo teatrale originale venendo più volte rimaneggiato. In un primo momento, come regista venne scelto Robert Florey e come interprete della creatura si pensò a Bela Lugosi, sebbene l’attore, che attribuiva il suo successo all’aspetto e alla voce, rifiutò di interpretare un mostro coperto da chili di trucco. Dopo la non chiara estromissione di Florey, il progetto fu affidato a James Whale, che partì dalla stesura del suo predecessore: aveva una forte impronta espressionista per cui l’archetipo della creatura era già in due pellicole come Il gabinetto del dottor Caligari e Il Golem.

Se il nuovo regista portò con sé anche un attore con cui aveva già lavorato, Colin Clive, cui diede la parte del dottor Frankenstein, restava ancora da scovare quello che avrebbe interpretato la creatura. E la scelta ricadde su Boris Karloff, che, seppure in parti minori, aveva già girato ad Hollywood un’ottantina di pellicole; come noto, per interpretare la creatura, l’attore era sottoposto ad estenuanti e dolorose sedute di trucco, curato dal grande Jack Pierce, l’uomo che avrebbe contribuito alla creazione dei maggiori mostri della Universal. Di comune accordo con Whale, il truccatore optò per una maschera che, sebbene ne alterava i tratti, permetteva a Karloff di esprimersi.

La creatura è forse una metafora della miserevole condizione umana. Per questo il pubblico trovò una forte simpatia con il mostro, al punto da giudicare insopportabili le torture a cui Fritz, l’assistente gobbo del dottore, lo sottoponeva. Questa forte presa sullo spettatore, in definitiva, era dovuta anche alla grande capacità di Whale di comprenderne al natura: il regista conosceva bene i suoi due protagonisti e riuscì con poche scene a renderli indelebili nella memoria e nell’immaginario collettivo. Così com’era evidente la vera natura del mostro nel momento in cui, vedendo il sole per la prima volta, allungava le braccia per afferrarlo, allo stesso modo, Whale, riuscì a stigmatizzare il dottore con una semplice frase aggiunta di suo pugno: “Lei non ha mai desiderato fare qualcosa di pericoloso? Dove saremmo se nessuno cercasse di scoprire cosa c’è al di là? Non ha mai desiderato di guardare oltre le nuvole, le stelle? O di scoprire che cosa fa fiorire gli alberi? E cosa trasforma in luce l’oscurità? Ma se uno parla così, la gente dice che è un pazzo. Ebbene, se potessi scoprire anche una sola di queste cose, che cos’è l’eternità per esempio, non mi importerebbe niente se tutti pensassero che sono pazzo

Le impressioni che la pellicola riuscì a suscitare furono molto forti per uno spettatore che si trovava, per la prima volta, di fronte ad argomenti fino ad allora tabù come cadaveri in sale d’obitorio oppure primi piani di siringhe che entravano nella carne. Il risultato fu tale che i produttori della Universal si sentirono in dovere d’iniziare il film con l’inquadratura di un uomo che rivolgendosi direttamente agli spettatori l’informava del forte impatto di alcune sequenze. Il risultato finale è un vero e proprio capolavoro, riconosciuto dall’American Film Istitute come uno dei 100 migliori film statunitensi di tutti i tempi. Quattro anni dopo questa pellicola, Whale, Karloff e Clive torneranno a lavorare insieme per La moglie di Frankenstein, sequel ritenuto da molti all’altezza se non superiore all’originale.

Marco Scali