L’angolo di Michele Anselmi
Scopro solo ora, da un affettuoso post su Facebook di Chiara Tozzi, che due giorni fa, il 2 dicembre, è morto Franco Giraldi: per complicazioni legate al maledetto Covid. Aveva 89 anni, da tempo era tornato a vivere dalle sue parti, in una casa per anziani, credo dopo la morte della moglie più giovane. È stato un regista fine e colto, poliglotta, di quelli che un tempo avremmo definito “appartati”, sempre gentile nell’eloquio, ex partigiano, uomo di sinistra, fiero delle proprie origini mitteleuropee (veniva da Comeno, in Slovenia), grande amico/complice di intellettuali triestini come Tullio Kezich, Callisto Cosulich, Claudio Magris, lui stesso cantore di una certa “triestinità”.
Ha girato tanti film, praticando anche il western all’italiana con lo pseudonimo Frank Garfield e la pubblicità in stile “Carosello”, ha diretto attori di notevole popolarità, come Monica Vitti, ma continuo a pensare che il suo film migliore resti “Un anno di scuola”, dal racconto lungo di Giani Stuparich, che realizzò per la Rai nel 1977. Ambientato nel 1929, parlava di una ragazza, Edda Marty, incarnata da Laura Lenzi, che entra (unica donna) a far parte di una classe maschile, per frequentare l’ultimo anno di liceo classico, era l’ 8°ginnasio, a Trieste. Una ragazza ribelle, libera ed anticonformista, in contrasto col suo ambiente familiare provinciale e un po’ gretto. E naturalmente, nonostante gli sforzi per stabilire un rapporto cameratesco con i compagni, la sua presenza suscita turbamenti, innamoramenti, pure un tentato suicidio.
Ho conosciuto Franco negli anni Novanta, quando abitava ancora nella sua bella casa a Fiano Romano, alle porte di Roma. Era sempre contento quando gli parlavo di quel film nato per la tv, al quale lui aggiungeva, giustamente, “La giacca verde” con Renzo Montagnani e Senta Berger, dal romanzo di Mario Soldati e soprattutto “La bambolona” con Ugo Tognazzi.
Ci si frequentò un po’ in quegli anni, bazzicavo il paese di Sabrina Ferilli perché pilotavo una piccola rassegna estiva di cinema intitolata “Lo schermo è donna” (ancora esiste). Franco era stato assistente di Gillo Pontecorvo e tra i due c’era un’antica amicizia, un affettuoso rispetto. E tuttavia toccò a me, su consiglio accorato di Gillo che non se la sentiva di dirglielo, informarlo che un suo film, “La frontiera” non sarebbe sceso in concorso alla Mostra di Venezia. Lo prendemmo ugualmente, facevo parte della commissione selezionatrice, ma in un’altra sezione, ritenuta “minore”. Ricordo la telefonata non facile con lui: capì, o fece finta di capire, e io lo ringrazio ancora per la signorilità con la quale accettò quel cambiamento senza portarmi mai rancore.
Michele Anselmi