L’angolo di Michele Anselmi per Cinemonitor
Piace praticamente a tutti “Nico, 1988” di Susanna Nicchiarelli, che poco più di un mese fa inaugurò la sezione Orizzonti della Mostra di Venezia e se ne ripartì col massimo premio conferito dalla giuria presieduta da Gianni Amelio (il famoso “aiutino”?). Produttivamente italiano e belga ma girato in inglese, il film è il terzo lungometraggio della regista romana, classe 1975, che deliziò molti con “Cosmonauta” e pochi con “La scoperta dell’alba”, dal romanzo omonimo di Walter Veltroni.
Cantante, attrice, modella, animatrice dei Velvet Underground, forse scoperta da Fellini, in buona misura “icona” di un certo maledettismo gotico tra fine anni Sessanta e primi Settanta, Nico – al secolo Christa Päffgen, tedesca di Colonia – morì a Ibiza nel 1988 per emorragia cerebrale cadendo da una bicicletta. Infatti nell’ultima scena la si vede uscire di spalle, per la passeggiata che le sarà fatale. Si spiega così l’anno inserito nel titolo del film.
È una Nico già 47enne, in parte dimenticata dal pubblico, appesantita ed eroinomane, strappata al figlio Ari, quella che da Manchester, dove s’è trasferita, parte per una scalcinata tournée organizzata dal manager innamorato di lei. La band raccogliticcia non funziona, lei fa scenate in pubblico e ha bisogno costante di droga per carburare sul palco, la data di Anzio, sulla quale il film parecchio si concentra, sarà un disastro.
Bisogna riconoscere che, benché poco somigliante, l’attrice danese Trine Dyrholm è davvero brava nel restituire gesti, allucinazioni e atteggiamenti di quella che fu definita “musa di Andy Warhol”; il film, costruito come un malinconico road-movie, non è sentimentale o indulgente nei confronti del mito, però avanza a fatica, gioca con l’aria del tempo senza riuscire davvero a restituirla, tutto, almeno a me, appare molto esteriore (abiti, auto, scenografie, acconciature).
Tuttavia “Nico, 1988”, da oggi nelle sale, gode di molti estimatori, anche se ho il sospetto che la simpatia generazionale verso l’artista eclettica si sovrapponga a quella per il film. Al quale auguro comunque buona fortuna, con l’aria che tira per il cinema italiano.
Michele Anselmi