Ad oltre quarant’anni dall’uscita della biografia-testimonianza del 1978 di Christiane Vera Felscherinow, Amazon Prime lancia il contributo ad una delle storie di droga più note, oscure e discusse di sempre. “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” diventa una serie televisiva, e la sceneggiatrice tedesca Annette Hess riadatta il dramma di Christiane F. rivolgendosi stavolta alla nuova generazione Z, ormai lontana dagli anni ’70, ’80 e da ciò che li ha caratterizzati, tra cui l’enorme ondata trasgressiva che investì milioni di persone di tutto il mondo, compresi i giovanissimi ragazzi del Bahnhof Zoo, la famosa stazione dello zoo di Berlino.
Christiane ha solo sedici anni quando si affaccia al mondo della Berlino di fine anni Settanta. È il mondo della musica, di David Bowie, del Rock ’n Roll, del punk, ma è anche il mondo della trasgressione e dell’eroina, droga che trasporterà la ragazza in un pericoloso vortice verso il baratro e la perdizione totale. Le pagine del libro tratto dai suoi racconti sono dense di testimonianze e di emozioni, ma soprattutto di disperazione. Il tutto è vissuto tra le mura dei palazzi in cui abitava, i “casermoni” descritti nel libro, la stazione dello Zoo di Berlino – tristemente nota per essere centro nevralgico di droga e prostituzione – e la discoteca più in voga della città in quegli anni: il Sound.
Questi aspetti vengono ripresi e traslati in chiave contemporanea nella serie, soprattutto attraverso alcune scelte stilistiche che abbandonano il clima dark del film del 1981, in favore delle scintillanti atmosfere che preannunciano l’affacciarsi degli anni Ottanta. A queste ultime, si accostano elementi della post-modernità, tra i quali l’uso di una colonna sonora anacronistica, ad esempio, che, oltre a comprendere l’immancabile David Bowie, lascia spazio ad artisti quali “Florence and the machine” o “Tame Impala”, decisamente fuori contesto temporale. Allo stesso modo, lo stile heroin-chic viene spinto all’ennesima potenza nei costumi: pellicce, calze a rete strappate, abiti in latex e tacchi a spillo si muovono in direzione di un punto di vista decisamente meno punk e più satinato.
Queste scelte, se da un lato potrebbero far pensare ad un tentativo di un revival degli Ottanta, dall’altro scongiurano il pericolo di riproporre strade già percorse, e quindi di sfruttare la storia di Christiane senza apportare nulla di innovativo. Il rischio era forse quello di incorrere in un teen drama; “Noi i ragazzi dello zoo di Berlino” rimane una storia che parla della dipendenza da eroina. Se è vero che i protagonisti sono appena adolescenti, di fatto la loro infanzia cessa di esistere non appena intraprendono il viaggio verso la perdizione. Ma la tematica centrale non viene surclassata; accanto a questa, trovano spazio il dramma della prostituzione e della infinita lotta contro la schiavitù della dipendenza, lasciando un nuovo, moderno, contributo-omaggio alla storia di Christiane F. e a quella dei ragazzi dello zoo di Berlino.
Chiara Fedeli