«Il cinema italiano non si rassegnerà mai a nessuna crisi». In un mix di solennità, campi medi e primi piani su Alberto Sordi, Anna Magnani, Totò, Massimo Troisi, Monica Bellucci, Roberto Benigni e tanti altri, si apre il documentario firmato da Andrea Rurali e Gianluca Genovesi (2021) reso disponibile la scorsa notte su Cine34.
La narrazione è strategicamente affidata alle voci dello scenario cinematografico italiano, vertendo sul metacinema, il cinema che parla di se stesso, svelando trucchi e realtà filmiche ignote agli spettatori. Chi sono dunque le voci? Il prodotto “Noi siamo cinema” affida il compito ai figli della settima arte: gli attori, quei mutevoli personaggi che hanno impersonificato la “regola” pirandelliana dell’Uno, nessuno e centomila, quanto piuttosto quella kafkiana della Metamorfosi; insomma il cinema si lascia definire da chi lo ha vissuto dall’interno senza ricorrere a impreparati narratori esterni.
L’idea geniale che appare chiara dopo le prime sequenze, riguarda la modalità in cui sia stato organizzato questa sorta di stream of consciousness cinematografico: gli attori presenti, o che fanno le veci di personalità ormai scomparse, si rimandano reciprocamente passandosi la battuta in modo da collegare il lavoro dell’uno a quello dell’altro come nel caso di Fellini, Mastroianni e la Loren da cui poi ripartono le figure di Sordi, della Vitti e Gassman e così via per tutte le stelle del firmamento italiano. Dunque, tutta questa particolare concatenazione tra interviste, riprese d’archivio, spezzoni di film che hanno fatto la storia del cinema italiano, dal passato al presente più prossimo, portano lo spettatore ad assistere ad un via vai di scene in bianco e nero e a colori, passaggi tra epoche e stili cinematografici diversi accomunati tutti però da uno charme, un’eleganza, una capacità estetica, musicale, di intendere e comprendere il cinema in maniera veramente viscerale e inarrivabile.
Il documentario di Rurali e Genovese è sostanzialmente la storia di un eroe, un eroe talmente grande e onnisciente da essere onnipresente sin da “La Sortie de l’usine Lumière à Lyon” del 1895; un eroe che come citato all’inizio ha attraversato mille-mila crisi come quella registratasi nel contesto corrente della pandemia che, secondo i dati di Cinetel, nel 2021 ha visto un calo di circa il 51% degli incassi e delle presenze rispetto agli anni dal 2017- 2019. Un unico dato positivo, però, è che il cinema italiano sembra essere più resistente rispetto a quello estero, il pubblico ha forse ancora quel pizzico di fiducia in più nei confronti di un settore che ha accompagnato la vita di ognuno e che ne è stato lo specchio riflesso, forse grazie alla sua capacità di essere figlio dello stile neorealistico rosselliniano. Il cinema ha da sempre il duplice compito di sospendere la realtà e di fornirne invece una visione più chiara e distaccata da spettatore, ha il compito di unire e dividere, di condividere il pensiero e la fruizione in barba all’individualismo dello streaming; il cinema è come la bellissima e giunonica Anita Ekberg che, invece di rivolgersi a Marcello Mastroianni, lo fa verso il suo pubblico e mai come ora ne richiede il supporto: “Spettatore, come here!”.
Cristina Quattrociocchi