In un piccolo paese della Puglia, suor Marta è costretta a richiedere l’intervento del sindaco in merito a una questione di vitale importanza: trovare un neonato che interpreti Gesù Bambino nel loro celebre presepe vivente, tradizione immortale per un borgo che sta lentamente scomparendo. Il problema è che a Porto Buio le nascite sono azzerate, l’ultimo bambino nato ha barba e brufoli da adolescente e nella culla non ci sta proprio. La soluzione che offre il sindaco Cecco è di chiederlo in prestito ai tunisini guidati da Bilal, italiano convertito all’Islam. Ma non si tratta di un’impresa da poco. I due, infatti, covano antichi dissapori dovuti a un fantomatico bacio che coinvolse suor Marta prima che prendesse i voti. Riusciranno i tre a riscoprire quel rapporto speciale che li legava da ragazzi e a trovare, con la scusa della religione, un punto d’incontro?
Integrazione, amicizia e amore sono temi da sempre cari al regista Luca Miniero che, dopo il successo di Benvenuti al Sud prima e Benvenuti al Nord dopo, affronta la questione buttando uno sguardo oltremare, soffermandosi sulle differenze fra popoli più che fra regioni. L’obiettivo è di rispondere a una società in perenne mutamento, offrendo allo spettatore la possibilità di guardare a una realtà che può essere anche diversa rispetto a come siamo abituati a pensarla, con altre dimensioni, forme e colori sempre nuovi. La commedia sa parlare di per sé lingue diverse e raggiungere il maggior numero possibile di persone: in questo, Miniero non delude, conservando un registro comunicativo semplice e diretto, sfidando però i luoghi comuni che la nostra cultura ci insegna.
A sostenerlo in questa avventura, un cast interessante. Bisio e la Finocchiaro ormai illustri interpreti delle sue commedie con l’aggiunta di Alessandro Gassman nei panni di un uomo diventato islamico per amore. A fare da sfondo a questa denuncia sociale è un paesino del Sud che, per via della sua posizione geografica, ben si presta ad aderire all’immagine che si ha del presepe. L’incipit non si discute, è esilarante e il divertimento al top, ma con il proseguire dello spettacolo il ritmo cala, sembra quasi che il film stia perdendo tempo senza trovare le parole giuste per la quaratura del cerchio. Inoltre, qualche gag un po’ troppo forzata rischia di minare la credibilità cinematografica della narrazione. Per il resto, Non c’è più religione è un film godibile, dal sapore fresco, ma non banale, che mette di buon umore e sorprende per il tono leggero che assume nonostante le tematiche messe in campo.
Stefania Scianni