Nureyev: danza e non solo. La trasposizione cinematografica del romanzo Nureyev, The Life, scritto da Julie Kavanagh, non è un biopic minuzioso e dettagliato sulla vita del White Crow, il più importante ballerino russo, ma la riduzione cinematografica della sua vita divisa in tre atti-tempi, ridotta a tre importanti eventi: l’infanzia di stenti trascorsa con la madre in Russia, nella città sovietica di Ufa alla fine degli anni ’40, i primi passi con la Kirov Ballet a Leningrado dal’55 al ’61 e l’arrivo a Parigi nel 1961 da disertore. Per Ralph Fiennes, Nureyev, The Life è “una storia così drammatica che tocca tantissimi temi. Ha una dinamica interiore molto personale. E c’è anche il contesto del divario ideologico tra Est e Ovest al culmine della Guerra Fredda”.
Danza e non solo perché, come si nota sin dalle prime sequenze del film, l’incipit della pellicola è affidata non ad un episodio artistico, ma politico: l’accusa di alto tradimento mossa dai servizi segreti al ballerino. E così il White Crow, l’outsider, il diverso, l’artista speciale è un altro caso di un figlio di un militare che, rifiutando le regole e la disciplina con le quali è cresciuto ed è stato formato, ha contribuito a rivoluzionare il mondo della danza: a renderla libera ed evocativa, a trasformarla in arte.
Nureyev, interpretato da Oleg Ivenko, come giustamente ha commentato Roberto Bolle, è la storia dell’uomo che ha cambiato la danza in tutta la sua forza e bellezza: “voleva essere accattivante come le ballerine e così ha reinventato la performance maschile”.
Nureyev è un racconto filmico, evocativo e celebrativo, perfetto nel montaggio costruito su continui flashback e flashforward, innescati da opere artistiche, come i quadri ospitati nelle più importanti gallerie parigine, che fungono da madeleine proustiana ad evocare momenti familiari o i rosoni della Sainte Chapelle, che rimandano invece ai primi passi su un palcoscenico. Perfetto anche nella fotografia, curata da Mike Eley, che esalta le diverse sfumature del blu: glaciale per mostrare le scene dell’infanzia ambientate in Russia e marino per le scene romantiche parigine.
Leitmotiv del racconto è una locomotiva, in particolare l’espresso siberiano, altra madeleine del lavoro del padre, della Patria e, soprattutto, del senso di movimento che si esprime attraverso la danza. A che serve allora la danza? A far viaggiare il pubblico con la mente: questo è il senso di quest’arte per Rudolf Nureyev. In sala dal 27 giugno con Eagle Pictures.
Alessandra Alfonsi