Può accadere che si decida d’intraprendere la carriera di regista semplicemente in seguito ad una illuminazione, dopo aver ricevuto una visione che costituirà la base di “sedimentazione” dei ricordi di tutta una vita. Magari da piccoli, in visita a Venezia, si può rimanere impressionati da un’immagine che da quel momento in poi condizionerà tutta un’esistenza: una “camera”. Non una stanza, bensì una Super 8 di quelle giocattolo, un souvenir appeso ai banchetti per turisti. Il bimbo resta ipnotizzato da quegli oggetti colorati che oscillano al vento: verdi, gialli, fucsia e simili a pistole da cowboy. In più, se ci guarda dentro girandone la rotellina destra, scopre che contengono un intero mondo composto da foto ricordo del Canal Grande, del Ponte dei Sospiri o di Piazza San Marco. Non può ancora immaginare che quell’oggetto diverrà presto un’ossessione.

Magari anche Dante, se si fosse ritrovato a vivere oggi avrebbe adottato lo strumento cinematografico per raccontare l’Inferno che intravedeva nella società e nella vita di alcuni personaggi o, in modo simile, anche Caravaggio o Monet, scoprendo la fotografia, si sarebbero lasciati andare al videomaking per narrare le loro visioni. Quello che per gli stessi Lumière pareva un brevetto destinato a non avere futuro, in poco più di un secolo, è divenuto uno dei più redditizi settori delle attività umane. Nessuna invenzione, nata in origine come possibilità di espressione artistica, ha raggiunto una tale diffusione, soprattutto nel passaggio ai supporti digitali: la democratizzazione del cinema attraverso le possibilità offerte dal web 2.0 ne è una palese conseguenza.

La cattura delle immagini attraverso l’elettronica non solo ha fatto passi da gigante, sostituendo le cineprese anche per la lavorazione di pellicole costose, ma è passata dall’analogico al digitale, dalle ingombranti broadcast alle maneggevoli handycam attraverso le decennale lotta tra formati diversi, arrivando fino ai formati dv, hd, full hd e addirittura 4k, con il risultato di invadere la vita di chiunque in modalità che ricordano le profezie di George Orwell.
Le telecamere di sicurezza sono ovunque, quelle televisive ci portano sin dentro gli spogliatoi di importanti match sportivi per non parlare di quelle innestate a bordo di automobili per facilitarne le operazioni di parcheggio o ancora di quelle che sondano organi umani per scopi clinici. Ognuno di noi poi “indossa” quotidianamente una camera attraverso i propri smartphone con cui filma, a tutte le latitudini, ogni attimo della vita su questo pianeta tanto da poter considerare l’obiettivo quasi un estensione del nostro corpo.

Michele Pinto