Tace la sinfonia nella grande città. Palazzi lividi di freddo alle prime luci dell’alba, muti i campi e le praterie di periferia, muri graffiati da bombolette spray sbadigliano sonnolenti mentre semafori si trastullano in giochi da bambini quando luci impazzite si alternano in una danza sfrenata. Al sorgere del sole la metropoli si anima e prende vita, così, improvvisamente. Una giornata come tante quella del ventenne Niko Fisher. La macchina da presa, per un autentico revival di pedinamento in stile Nouvelle Vague, lo segue dalla sveglia: quel maldestro tentativo di fuga dal letto di una ragazza-canotta a righe. Il giovane ha appena cambiato appartamento. Scatole e scatoloni sparsi per ogni dove, vecchie foto, ricordi di un viaggio passato. Ma Niko non riesce a concentrarsi. Difficile affrontare una lunga e lenta giornata senza una buona tazza di caffè. Peccato che il bancomat gli abbia ritirato la carta di credito e il padre abbia scoperto che ha dato forfait dal corso in giurisprudenza. Una manciata di banconote in mano al figliolo per scaricarsi la coscienza, tanti auguri e buona fortuna.
Qual è il mestiere di Niko? Pensare, sempre, continuamente. Al futuro, certo: un futuro da schifo. Tra una sigaretta, un’altra ancora e un riposino fugace tra le lenzuola del divano sfatto, Niko trova il tempo per andare avanti e indietro, su e giù per la metropolitana cittadina. Ore, minuti, secondi animati da incontri sempre più stravaganti. Singolari individui soli e senza pace roteano nel girotondo berlinese. Niko e il passato prossimo, Niko e un futuro incerto, senza prospettive, Niko e l’incancellabile passato remoto di una nazione per un colloquio a tu per tu in un bar a tarda notte. Innanzi al giovane si spalanca uno spazio temporale senza fondo dove bambini alti così, fagocitati da una dittatura imperante, fanno a tempo a imparare a pedalare su una bicicletta, non a decidere del proprio destino. Un nuovo giorno davanti a una tazza di caffè fumante, gli occhi lucidi, Niko Fisher non potrà più essere quello di ieri.
Un tappeto di musica jazz sottolinea sbavature, corse e tentativi di fuga del giovane protagonista: l’efficace Tom Schilling diretto da Jan Ole Gerster, qui alla sua opera prima. Oh Boy, un caffè a Berlino, film rivelazione in Germania, si aggiudica sei premi “Lolas” tra cui miglior film, miglior attore protagonista e miglior sceneggiatura. Gester, in omaggio ai migliori tempi della ‘Nuova Ondata’ francese scende per strada offrendoci il ritratto di un protagonista smarrito e malinconico, pur non privo d’ironia. Una lettera d’amore intimo per la sua città, rappresentazione berlinese in bianco e nero resa magistralmente dalla fotografia di Phillip Kirsamer a costruire una metropoli fuori dal tempo. Sotto la patina di grigio cemento la capitale tedesca ci appare nella sua architettura dilaniata dalla guerra con le sue crepe difficili da rimuovere e dimenticare. Dietro ogni battuta e sorriso sarcastico del protagonista si nasconde la tristezza profonda e il senso di insicurezza di tutti noi, incapaci ad adattarci alla vita moderna, appesantiti come siamo da un’incancellabile identità nazionale.
Chiara Roggino