Esce il 31 ottobre nelle nostre sale Oltre le colline di Cristian Mungiu, presentato in Concorso all’ultimo Festival di Cannes. L’autore rumeno, nuovamente inserito nella selezione ufficiale della kermesse francese dopo la Palma d’Oro nel 2007 per 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni, si è confermato a grandi livelli portando a casa il premio per la miglior sceneggiatura e quello per la miglior attrice, andato ex aequo a Cosmina Stratan e Cristina Flutur.

Voichita e Alina sono state nello stesso orfanotrofio fino alla maggiore età. In seguito la prima è divenuta una novizia ortodossa nel monastero locale mentre la seconda è andata a cercare lavoro in Germania. Ritornata in patria con l’intento di portare via con sé l’amica, per la quale nutre un amore che va ben oltre l’amicizia, Alina deve fare i conti con i dubbi e le perplessità di Voichita che sembra voler proseguire il suo cammino spirituale. La piccola comunità religiosa, turbata dall’irrequietezza e dagli scoppi d’ira di Alina, persa e sola senza l’amica, non ne comprende le reali motivazioni ma vi coglie invece i germi di una possessione demoniaca.

Il regista, autore anche della sceneggiatura, si è ispirato al libro Spovedanie la Tanacu della giornalista rumena Tatiana Niculescu Bran, incentrato su una storia avvenuta nel 2005 presso il monastero Tanacu in Romania dove una ragazza è morta a causa di un presunto caso d’esorcismo. Mungiu non vuole giudicare le sue protagoniste o la piccola comunità religiosa ma si limita a mostrarci il lento ed estenuante precipitare degli eventi, la discesa agli inferi di Alina, accecata dalla sua passione amorosa che si scontra in maniera ineluttabile contro i freddi e rigidi dettami religiosi.

Molteplici e complessi i temi affrontati dal film, che rifugge il sensazionalismo e ci mostra in maniera quasi banale le violenze perpetrate ai danni di Alina da una comunità religiosa che agisce in nome della fede e in virtù di essa si sente legittimata a commettere i rituali più raccapriccianti. Sorretto dalle drammatiche ed intense interpretazioni delle sue protagoniste e dalla suggestiva fotografia di Oleg Mutu, il regista rumeno ci regala una prova riuscita e convincente senza sollecitare a tutti i costi l’emotività del pubblico, come testimonia l’assenza della colonna sonora. Il suo intento, piuttosto, è quello di porre lo spettatore dinanzi a questioni di natura morale, a domande sulla necessità di rivedere i dogmi della fede quando vanno ad incrociarsi e a scontrarsi con la sfera meno razionale del genere umano, rappresentata dal sentimento amoroso.

Boris Schumacher