“Barbara Steele. Oltre l’icona del gotico” (Shatter, 2022) di Fabio Giovannini entra di diritto in quell’antro della bibliografia che il celebre critico e esperto del fantastico dedica agli attori con un magnetismo fuori dal comune, dopo le monografie su Boris Karloff, Christopher Lee e Donald Pleasence. Ne abbiamo parlato con Giovannini.

Cosa unisce, perché da spettatore sono certo che qualcosa ci sia, queste figure cinematografiche praticamente mitologiche alla base dei tuoi ultimi saggi?
Fabio Giovannini: Si tratta di grandi professionisti che hanno dato il meglio anche quando recitavano in pellicole a bassissimo costo o con sceneggiature e regie improbabili. L’affetto che ancora li circonda è dovuto anche a questo: lo spettatore trova sempre il suo attore-icona in grado di dare emozioni e di interpretare con maestria i ruoli più diversi. Ovviamente l’altro tratto di unione tra quelle star è la permanente apparizione in pellicole “di genere”. Volenti o nolenti, sono stati gli horror, i film gotici, fantastici, del terrore a volerli come protagonisti principali e a mettere in evidenza le loro capacità.

In Italia, grazie a Bava, Freda, Margheriti e Caiano, la Steele diventa appunto l’icona più rappresentativa e affascinante del gotico tout court. Perché il cinema degli anni Sessanta, nell’assolata Italia, finisce nelle cripte e in manieri ben più oscuri di quelli inglesi della Hammer o americani della AIP?
F. G.: Evidentemente un “lato oscuro” non mancava in Italia nemmeno negli anni del boom economico postbellico. Come sapeva fare un tempo, il cinema italiano si appropriava dei successi esteri per riscriverli in modo originale ed estremo. Là dove il cinema americano, ad esempio, non osava, gli italiani si spingevano oltre, aumentavano il tasso di erotismo e trasgressione, aggiungendo un gusto estetico particolare. Non erano “copie” dei film inglesi o americani, ma riscritture, rielaborazioni che non si ponevano limiti (nonostante la censura fosse severa anche da noi). Nel caso della Steele, poi, proprio l’Italia ne ha decretato la popolarità.

Quanto questo essere icona dell’orrore ha tarpato la carriera dell’attrice oppure quanto l’ha resa immortale?
F. G.: Quasi tutti gli attori diventati icone dell’orrore hanno lamentato la ghettizzazione in un genere. In realtà dovrebbero essere grati all’identificazione con una particolare tipologia di cinema. Spesso le loro caratteristiche fisiche, i loro lineamenti, il loro stile di recitazione erano perfetti per incarnare personaggi oscuri, tenebrosi o perversi. Raramente, quando si sono cimentati al di fuori del genere, sono riusciti a raggiungere gli stessi risultati. Di certo, però, i meccanismi delle produzioni cinematografiche hanno anche costruito delle gabbie intorno ad attori e attrici, confinandoli di fatto al di fuori del cinema mainstream (se non come guest star o in cammei). Barbara Steele, comunque, può vantare nella sua filmografia moltissimi film che non hanno nulla a che fare con l’horror, comprese svariate commedie. Era e resta la regina del cinema gotico, ma come evidenzia il sottotitolo del mio libro per Shatter (ne esiste anche una versione a tiratura limitata, fuori commercio, con centinaia di illustrazioni) la sua carriera va “oltre l’icona del Gotico”.

8 e 1/2 è considerabile l’apice della sua carriera?
F. G.: Sicuramente per Barbara Steele è stato il coronamento di un sogno: recitare per Federico Fellini. In parte è rimasta poi delusa, perché il desiderio di affermarsi nel cinema “alto”, con ruoli importanti, non si è realizzato. Tuttavia, non dimentichiamo che in seguito è stata scelta da registi come Louis Malle, Volker Schlöndorff, Jonathan Demme e David Cronenberg.

Oltre a tratteggiare la parabola artistica della Steele, ne consegni al lettore un ritratto anche intimo, personale. Quali sono le caratteristiche che la rendono in certo modo anche un’anti-diva (a partire dal disprezzo per Doris Day)?
F. G.: Il carattere indomabile di Barbara Steele non era adatto alle regole del divismo tradizionale. Giovanissima litigò con Don Siegel, poi rifiutò molti ruoli, infine in tarda età non si è voluta piegare ai provini che il cinema americano pretende persino da attori e attrici già affermati. Per anni, poi, si è ritirata dalle scene: quando nel 1968 lascia l’Italia per trasferirsi in America con il marito appena sposato, scompare letteralmente nel nulla per i mass media. Ma quando torna a recitare, la sua notorietà riprende nuovo vigore, anche perché tv e videocassette avevano rilanciato la sua icona a nuove generazioni di appassionati. Oggi preferisce dipingere nella sua villetta di Hollywood, limitandosi a rare apparizioni sullo schermo: in questo modo, va detto, mantiene intatta la sua immagine particolare e unica.

A quale magnetico attore dedicherai la tua prossima monografia?
F. G.: Ci sono diversi nomi in “lista d’attesa”. Per il prossimo futuro ho in cantiere un’analisi piuttosto inconsueta di Bela Lugosi, alla scoperta anche del suo impegno politico sconosciuto ai più.