L’angolo di Michele Anselmi
È andata così, alla fine. Benché favorito dalle indiscrezioni, il presidente Zelensky non è “apparso” alla 94ª Notte degli Oscar, ma è come se avesse vinto lo stesso la sua personale statuetta di statista in t-shirt militare, una sorta di “american hero”. Tutta la faccenda della guerra s’è risolta con un minuto di silenzio, alla faccia di Sean Penn che aveva chiesto il boicottaggio della serata senza la presenza di Zelensky, e un discorsetto dell’attrice Mila Kunis di origini ucraine. Will Smith ha sferrato in diretta un cazzotto al comico Chris Rock perché aveva ironizzato sull’alopecia della consorte Jada Pinkett-Smith, aggiungendo ad alta voce dalla platea: “Tieni fuori da quella cazzo di bocca il nome di mia moglie”. L’Italia non ha beccato nulla, ma era prevedibile che “È stata la mano di Dio” di Paolo Sorrentino non gliela avrebbe fatta alla voce “miglior film internazionale”, cioè non girato in inglese (peccato invece per il costumista di “Cyrano” Massimo Cantini Parrini).
E i premi principali? A sorpresa, ma nemmeno tanto, ha vinto “I segni del cuore. Coda”, della regista Siân Heder, remake americano di un bel francese del 2014, “La famiglia Bélier” di Eric Lartigau: racconta di una ragazzina che . Tre statuette: miglior film, migliore sceneggiatura non originale (ti credo), miglior attore non protagonista. Lo si può vedere da qualche giorno su Apple tv e Sky, ma uscirà comunque il sala il 31 marzo con Eagle Pictures: racconta la storia toccante di una ragazza diciassettenne, figlia di pescatori sordomuti del Massachusetts (lei è l’unica udente in famiglia), che scopre una vocazione travolgente per il canto e alla fine riuscirà a coronare il suo sogno grazie all’aiuto di un maestro deciso ad aiutarla. In molti l’hanno definito “stucchevole”, ma ai giurati dev’essere molto piaciuto.
Jane Campion, data per favorita con “Il potere del cane”, s’è dovuta accontentare della statuetta per la migliore regia, sempre un premio pesante nella gerarchia hollywoodiana; e comunque ha avuto la meglio su colleghi come Kenneth Branagh per “Belfast”, Steven Spielberg per “West Side Story”, Péaul Thomas Anderso per “Licorice Pizza” e Ryûsuke Hamaguchi per “Drive My Car”. Quest’ultimo, giapponese, s’è aggiudicato l’Oscar per il miglior film straniero, e francamente era difficile non attribuirglielo, per quanto è bello, profondo e toccante, con tutto l’affetto e la stima che pure si devono al candidato italiano Sorrentino.
Sul fronte degli interpreti, maschili e femminili, la distribuzione dei premi è risultata assai ragionata, con una vena di politicamente corretto: il nero Will Smith per “King Richard. Una famiglia vincente” e la bianca Jessica Chastain per “Gli occhi di Tammy Faye” migliori attori protagonisti, l’italo-portoricana Ariana DeBose per “West Side Story” e il bianco sordomuto Troy Kotsur per “I segni del cuore. Coda”.
La cronaca registra, a parte il cazzotto di Smith al collega, in un primo tempo scambiato da tutti per una “gag” preparata, la battuta velenosetta di Amy Schumer, una delle tre presentatrici, insieme a Regina Hall e Wanda Sykes: “Quest’anno l’Academy ha voluto tre donne sul palco, costano meno di un uomo”. Naturalmente Smith alla fine s’è scusato, definendosi “un messaggero d’amore”, ma nel frattempo il pugno aveva fatto il giro del mondo.
Chi ha perso e chi ha vinto? Di sicuro Kenneth Branagh si aspettava qualcosa di più per il suo autobiografico “Belfast”, girato in bianco e nero e accolto dovunque bene sul piano commerciale (anche in Italia dove “gareggia” con “Assassinio sul Nilo” diretto dallo stesso Branagh); e un po’ dispiace – dispiace a me – che Spielberg, autore di uno splendido remake di “West Side Story”, tutt’altro che calligrafico, sia stato così relegato ai margini dai giurati dell’Academy Awards, magari anche per un fatto anagrafico oltre che per la carriera luminosa alle spalle. Quanto agli estimatori sfegatati di Paul Thomas Anderson, il suo divagante “Licorice Pizza”, oggetto di un culto cinefilo abbastanza smodato, mi pare non avesse reali chance di vittoria nell’attuale tornata.
Michele Anselmi
Tutti i premiati
Miglior film
I segni del cuore (Coda)
Miglior regia
Jane Campion (Il potere del cane)
Miglior attore
Will Smith (King Richard. Una famiglia vincente)
Miglior attrice
Jessica Chastain (Gli occhi di Tammy Faye)
Miglio attrice non protagonista
Ariana DeBose (West Side Story)
Miglior attore non protagonista
Troy Kotusr (Coda)
Miglior film internazionale
Drive my car di Ryûsuke Hamaguchi
Miglior sceneggiatura originale
Kenneth Branagh (Belfest)
Miglior sceneggiatura non originale
Siân Heder (I segni del cuore. Coda)
Miglior documentario
Summer of Soul (…Or, When the Revolution Could Not Be Televised) di Ahmir Questlove Thompson, Joseph Patel, Robert Fyvolent e David Dinerstein
Migliori costumi
Jenny Beavan (Cruella)
Miglior fotografia
Greig Fraser (Dune)
Migliori effetti speciali
Paul Lambert, Tristan Myles, Brian Connor e Gerd Nefzer (Dune )
Miglior film di animazione
Jared Bush, Byron Howard, Yvett Merino e Clark Spencer (Encanto)
Miglior canzone
No Time to Die (No Time to Die), Billie Eilish, Finneas O’Connell
Miglior sonoro
Dune
Miglior montaggio
Joe Walker (Dune)
Miglior colonna sonora
Hans Zimmer (Dune)
Miglior scenografia
Patrice Vermette e Zsusanna Sipos (Dune)
Miglior trucco e acconciatura
Linda Dowds, Stephanie Ingram e Justin Raleigh (Gli occhi di Tammy Faye)
Miglior corto animato
The Windshield Wiper
Miglior corto live action
The Long Goodbye
Miglior corto documentario
The Queen of Basketball