Elizabeth Hansen (Mélanie Laurent) si risveglia nel suo incubo peggiore. Non sa chi è né dove si trovi, tutto ciò che scopre a pochi attimi dal suo risveglio è di essere rinchiusa in una capsula criogenica. La capsula, un’intelligenza artificiale altamente tecnologica, risponde al nome di M.I.L.O. (voce di Mathieu Amalric) ed è in grado di provvedere alle funzioni vitali della protagonista, ma non di rispondere alle sue innumerevoli domande. O meglio, non di darle le risposte che cerca: M.I.L.O. non risponde a quesiti formulati in modo umano e non può dirle chi lei sia, ma può monitorare i suoi parametri vitali; non sa dirle dove la capsula si trovi, ma può comunicarle che di lì a qualche ora l’ossigeno presente sarà esaurito.

“Oxygène” è un claustrofobico rebus per la protagonista e per lo spettatore, che tenta con lei di rimettere insieme i pezzi del puzzle della sua identità – chi è e come è finita lì? –, cerca soluzioni per uscire da una situazione apparentemente senza via di scampo, corre contro il tempo pur cercando di mantenere uno stato psicofisico quanto più possibile tranquillo (un respiro affannato le costa molto di più a livello di ossigeno). Con il film ci ritroviamo all’interno di un groviglio a tempo. Non a caso, il regista (Alexandre Aja) inserisce nella trama ricorrenti flashback di alcuni topi da laboratorio che tentano di uscire da un labirinto, creando una metafora inquietante e che, capiamo, forse vuole essere un segno di qualcosa di più.

A questa serie di indizi-trappole, si aggiunge la questione del dialogo e dell’interazione tra la Elizabeth e M.I.L.O. Se è quest’ultimo causa della sua situazione, in quanto la tiene imprigionata, potrebbe rivelarsi anche la soluzione al tutto. La tecnologia è o no dalla nostra parte? La questione è più controversa di quello che si potrebbe pensare, e nel film questa posizione dualistica è abbastanza chiara. Se in alcune istanze è la macchina a creare il principale pericolo per la protagonista, a causa della quale rischierà la morte (e non solo per asfissia) più volte, è proprio questa a collaborare con lei quando la situazione sembrerà inesorabilmente segnata. Il robot sarà quello che riuscirà a darle maggiori risposte, al contrario degli altri esseri umani che si riveleranno incapaci di trarla in salvo.

Il tema della tecnologia e dell’uomo che deve imparare come interagirci è un argomento sempre più ricorrente, nelle nostre vite e nei prodotti mediali che, certamente, le rispecchiano. C’è di nuovo che il regista ha voluto ibridare questi aspetti con un altro tema ricorrente sul genere horror-thriller, e che ci rimanda a film come “Buried” o a scene tarantiniane in cui la protagonista, analogamente a quanto accade a Elizabeth, si risveglia in una cassa sepolta. E, proprio come in questi film, noi spettatori non sappiamo nulla di più dei personaggi e niente possiamo, se non stare a guardare se, e in che modo, se la caveranno.

Chiara Fedeli