Se avete voglia di piangere, commuovervi ed emozionarvi, con primi e primissimi piani, magici, e traboccanti di umanità, di poesia e di gioia, con spettacolari rovesciate, fulminanti dribbling e scattanti
ripartenze non potete perdervi Pelé, diretto dai fratelli Jeff e Michael Zimbalist. Perché “Dico” Pelé e ho detto tutto. A soli sedici anni, inizia la sua carriera da professionista nel Santos Futebol Clube, a diciassette partecipa con la nazionale del Brasile al suo primo mondiale, è il primo e l’unico giocatore ad aver vinto, come si chiamavano allora, tre trofei Jules Rimet. 1283 gol in 1366: non sono solo numeri, record, tituli, come direbbe un famoso allenatore, o premi, ma la storia di una leggenda del calcio mondiale. Pallone d’Oro alla Carriera, giocatore del secolo, secondo la FIFA, una delle venti persone più importanti ed influenti del Ventunesimo secolo, per il Time Magazine. “Dico” appunto Pelé e ho detto tutto.

Questo film è un biopic e allo stesso tempo un docufilm, con immagini e filmati di repertorio, con i colori delle favelas e i ritmi della samba su Edson Arantes do Nascimento, nato nella Città dei Tre Cuori il 23 ottobre 1940, che da lavori umili raggiunse la fama internazionale senza mai dimenticare chi fosse e da dove provenisse. Chi non è brasiliano non può comprendere cosa rappresenti per il popolo brasiliano il calcio e, in particolare, la drammatica finale del 1950, considerata la madre di tutte le partite e “la tragedia di un popolo”, allo stesso tempo, dove le cronache nere hanno riportato le notizie di circa trentasei suicidi di tifosi carioca per la sconfitta della nazionale; raccontata dalla nota voce di un’altra icona del giornalismo sportivo, l’italiano Bruno Pizzul, si tratta della partita in cui la Nazionale carioca perse in casa il Mondiale contro l’Uruguay, sconvolgendo la vita del Brasile e dei Brasiliani. Il 7 a 1 in casa nel recente Mondiale è nulla a confronto. Ascoltando quella drammatica finale da una rozza e antiquata radiolina, Pelé promise al padre che avrebbe consegnato al suo paese la Coppa: quattro anni dopo, a soli diciassette anni, nell’elegantissima e ricchissima Svezia, vinse il suo Primo Mondiale.

Costruito come una favola, con primi e primissimi piani di Pelé, del padre, della madre, dei fratelli e dei primi amici che hanno accompagnato la scalata al successo del giocatore brasiliano, il film è un’esaltazione del giocatore e del suo calcio, della Ginga, il bel gioco appunto, rozzo e praticato a piedi nudi come nella prima squadra, quella con “i senza scarpe”. Non è il primo film con Pelé nelle vesti di attore (ricordate Fuga per la vittoria?), che qui compare in un cameo, ma il primo sulla storia della sua leggenda sportiva. Non è nemmeno il primo film con un calciatore (ricordate Best di Mary McGuckian sulla storia dello sregolato George Best, Il mio amico Eric di Ken Loach con Cantona o Maradona – La mano di Dios di Marco Risi?) E sicuramente, vista l’oramai spettacolarizzazione e industrializzazione del calcio, c’è da aspettarsi prossimamente la realizzazione di altre pellicole su calciatori che hanno contribuito con i loro goal, record, dribbling e passaggi a lasciare un’impronta nella storia del calcio. Tuttavia, guardando questo film a noi un dubbio rimane: ma Maradona è meglio di Pelè?

Alessandra Alfonsi