La Mostra di Michele Anselmi per Cinemonitor | 4

Luca Guadagnino è un habitué della Mostra, sempre in concorso, talvolta con film che forse non avrebbero meritato quella collocazione. Questo nuovo sì, invece (secondo me). Si chiama “Bones and All”, cioè “fino all’osso”, benché la traduzione migliore, con cinico retrogusto, sia “pasto completo”. Almeno dal punto di vista di un cannibale che vive ed opera negli Stati Uniti. Sì, avete letto bene.
Guadagnino, sulla scorta di una sceneggiatura di David Kajganich, gira una sorta di romantica ballata on the road su un tema assai respingente, provando a riscattare l’orrore, pure mostrato all’insegna di un notevole Grand Guignol, con la cosiddetta forza dell’amore. Se nella saga di “Twilight”, certo molto più patinata e per teen-ager, era la leggenda dei vampiri ad animare il tutto, qui è appunto l’antropofagia, presa come manifestazione estrema del disagio emotivo in una fetta dell’Occidente.
Siamo negli anni Ottanta, sotto il segno di Reagan, nell’America profonda e marginale. Non per niente scrive Guadagnino: “C’è qualcosa nei diseredati, in coloro che vivono ai margini della società, che mi attira e commuove”.
Maren, diciottenne molto carina, figlia di un padre nero e di una madre bianca, è sempre in fuga. Capiamo perché nell’incipit: a una coetanea che nottetempo l’ha invitata a casa per festeggiare, fingendosi lesbica, spolpa in un secondo il dito anulare di una mano, fino all’osso appunto, e subito scappa con le labbra sporca di sangue. Tocca ripartire al volo, il padre è abituato a quegli “incidenti”. Comincia così il road-movie che porterà la ragazza da uno Stato all’altro dell’America, specie dopo essere mollata pure dal genitore esausto.
Pare che i cannibali si riconoscano a distanza, dall’odore, si annusano: infatti Maren è avvicinata da uno strano tipo, Sully, che la porta in una bella casa lì vicino, dove il pasto – una signora lasciata agonizzare sul pavimento – sta per essere servito. Ma l’incontro cruciale è con Lee, un vagabondo bello e disinibito che ha lo stesso viziaccio di Maren e Sully. Chiaro che sboccerà l’amore tra i due, su un lago di sangue, e tante cose devono ancora accadere sulle strade di quell’America misera e torva.
Non pensate all’eleganza snob di Hannibal Lecter, tantomeno al mitico finale di “Andrò come un cavallo pazzo” di Fernando Arrabal; i cannibali che incontriamo nel film sono lerci, pieni di tatuaggi o strani gadget, s’introducono nelle case per rubare, sembrano “tossici”, ghignano battute del tipo: “Sparami o vattene, non mi piace mangiarlo freddo” e rimpiangono i Kiss di “Lick It Up”.
Il dilemma morale del film sembrerebbe questo: come convivere con ciò che non riusciamo a controllare? “Per un po’ vorrei vivere come tutti” chiede infatti Maren, sognando una “normalità” improbabile. Lei è incarnata con sensibilità da Taylor Russell, mentre Lee indossa la magrezza sensuale di Timothée Chalamet, che fu lanciato da Guadagnino ai tempi di “Chiamami col tuo nome”; in ruoli diversi attori del calibro di Jessica Harper, Mark Rylance, Chloë Sevigny, Michael Stuhlbarg (quest’ultimo fa davvero paura). Quanto allo stile, Guadagnino rinuncia stavolta ai noti estetismi, spesso sfiancanti, costruisce bene la tensione, certo molto si diverte con emoglobina e brandelli di carne ciancicata, ogni tanto evoca i film sugli zombie, forse omaggia “La rabbia giovane” di Terrence Malick. “Bones and All” uscirà con Vision Distribution.
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Se il film di Guadagnino dura 130 minuti, quello di Frederick Wiseman esattamente la metà, pure meno: 63. Il grande documentarista americano ha realizzato, a 92 anni, il suo primo film “di finzione”, battente bandiera francese: si chiama “Un couple”, è stato girato in 23 giorni, nell’isola di Belle Île. Una sola attrice in scena, Nathalie Boutefeu, pure co-sceneggiatrice. Ispirato ai diari di Sofia Tolstoj, il film è un monologo denso e profondo, in costumi ottocenteschi, immerso nella natura: scogliere, mare impetuoso, vento, fiori, insetti, fiori, suoni del giardino… Il contrasto è azzeccato, meditato: in quel luogo incantato la donna, passeggiando, riepiloga gioie e dolori della vita passata accanto a suo marito, appunto Tolstoj (non citato per nome). “C’è anche la prosa nella vita, non si vive solo di fiori, natura e piante” scandisce lei; e ancora: “Tu passi dalla passione all’indifferenza”. Ne esce il ritratto, molto moderno, di una donna ancora innamorata e attraente ma delusa e offesa; vedrete che ciascuno – femmina o maschio non importa – si ritroverà un po’ in ciò che ascolta, detto e recitato dalla sensibile Boutefeu. Difficile farlo uscire al cinema, ma sarebbe bello che qualche piattaforma digitale lo acquistasse.
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Francese anche “Athena”, terzo film in concorso oggi, che porta la firma di Romain Gavras, figlio di Costantin. “La tragedia greca ha sempre ispirato la mia vita e la mia formazione. Mi affascina il suo significato simbolico” spiega il regista. Così risulta, con qualche sottolineatura di troppo, vedendo il film, a cominciare dal titolo. Partenza bruciante, adrenalinica, con forte senso dell’azione: nel quartiere periferico di Athena, nella cintura parigina, un tredicenne arabo è stato pestato e ucciso da tra poliziotti. Così almeno certifica un video fatto col cellulare. Il popolo di Athena vuole il nome dei tre sbirri, quei nomi non arrivano, così parte la sommossa violenta, una specie di guerra civile: con l’enorme condominio trasformato in un fortino inespugnabile mentre le forza dell’ordine provano ad entrare con ripetute cariche. La giovane vittima aveva tre fratelli: il soldato Abdel, il ribelle Karim e il criminale Moktar; e non ci vuole molto a capire che i tre destini finiranno con l’intrecciarsi in tragico modo.
“Sono solo luoghi di spacciatori e fondamentalisti” sentiamo dire da un politico. Gavras non addolcisce la pillola, ma gli interessa parlare d’altro: della manipolazione che si annida dietro ogni guerra, parla infatti di “bugia originale che acceca il pensiero”. Le psicologie sono tagliate con l’accetta, gli attori urlano sempre, il finale è sin troppo simbolico (le banlieue come polveriere pronte a esplodere), ma il regista gestisce le masse con abilità e sa come creare la tensione. Si vedrà su Netflix dal 23 settembre.

Michele Anselmi