Franco Percoco è un ragazzo di 26 anni, è di buona famiglia, studia medicina con ottimi voti, sta per sposarsi con la sua fidanzata. O almeno è questa l’immagine che vuole dare di sé all’esterno. Dietro c’è ben altro: Franco è infatti il primo uomo in Italia a macchiarsi di un delitto tremendo, l’omicidio dei suoi famigliari. “Percoco – Il primo mostro d’Italia”, presentato il 26 marzo al Bif&st 2023 di Bari, è l’adattamento cinematografico del romanzo “Percoco” di Marcello Introna. Il regista non ci racconta però l’intera vita del criminale, come fa il libro, ma preferisce concentrarsi sui dieci giorni che intercorrono tra la strage e la sua scoperta da parte della polizia. Siamo a Bari, nella notte tra il 26 e il 27 maggio 1956. Franco Percoco, armato di un coltello da cucina, uccide i suoi genitori ed il fratello minore, e ne nasconde i cadaveri nella camera da letto principale. La mattina dopo si sente sorprendentemente bene, come se niente fosse successo. Inizia così a trascorrere le sue giornate in piena libertà: spende i soldi dei genitori tra cene di lusso e prostitute, organizza feste in casa, beve fino ad ubriacarsi. La macchina da presa segue il suo vagare in una Bari attraversata dal boom economico di quegli anni, dipinta con tinte vivide e toni pastello. Gianluca Vicari, che interpreta il protagonista, è molto bravo a rappresentare un ragazzo che nonostante l’apparenza ha un lato oscuro, una luce negli occhi diversa rispetto agli altri. Ed infatti al Franco del mondo esterno si oppone il Franco tra le mura domestiche. Figlio mezzano di genitori “timorati di Dio”, come vengono più volte descritti nel corso del film, è fin da piccolo vittima delle loro aspettative. I coniugi Percoco non possono infatti riversarle né sul maggiore, in carcere per una serie di furti commessi, né sul minore, affetto da sindrome di Down. E così quell’estremo gesto è dettato dalla profonda rabbia che Franco prova per la sua famiglia. All’interno di casa Percoco, ricostruita minuziosamente grazie alle fotografie dell’Archivio di Stato di Bari, la scena si fa più buia, ed il protagonista viene inquadrato quasi sempre in penombra mentre ripulisce il sangue, o tenta di nascondere l’odore della morte con grandi quantità di profumo. Ben presto però la verità verrà alla luce, sconvolgendo profondamente l’Italia dell’epoca per la sua crudezza, tanto da essere censurata e poco conosciuta ancora oggi. La colonna sonora, musica orchestrale dal suono basso e cupo, è continuamente presente a ricordarci il tono della storia, risultando a volte un po’ eccessiva. Il film ci offre così uno spaccato di un fatto di cronaca terribile, scegliendo di raccontarcene solo una parte: non la violenza cruda degli omicidi, ma l’apparente normalità successiva al delitto. Non ha pretese di essere esaustivo, ma di offrire allo spettatore spunti di riflessione sull’importanza della salute mentale, sui rapporti famigliari, sulle aspettative da parte del mondo esterno. Una storia che non può essere dimenticata, se non altro per evitare che si ripeta ancora.
Martina Genovese