L’angolo di Michele Anselmi | Scritto per Cinemonitor
Non saprei proprio dire se, come distilla pensoso Vincenzo Di Pietro replicando a un post birichino di Andrea Carraro, «l’opera di Paolo Sorrentino abbia il principale scopo di “sfebbrare” una rabbietta cupa e malcelata del regista stesso, appoggiandosi con spocchiosa stanchezza su una certa argillosa presunzione». Sembra una battuta di Sorrentino detta da Jep Gambardella in “La grande bellezza”. So però che, tornando a casa tardi, ho visto in replica su Sky un pezzo consistente della sesta puntata di “The Young Pope” e non potevo credere alle mie orecchie, più che ai miei occhi.
L’incontro-duello tra il giovane presidente del Consiglio (Stefano Accorsi) e il giovane Pio XIII (Jude Law), naturalmente arrivato all’appuntamento in tiara e manto all’antica con contorno yé-yé di occhiali da sole, comincia così: «Sta forse dormendo, Santo Padre?». «No, stavo pregando per lei». «Grazie per avermi ricevuto, dopo nove mesi». «Non pensavo sarebbe durato tanto».
Oh yeah, qui non si gioca di fioretto, si rimette mano al Concordato. Ed è solo l’antipasto stracult. Il quarantenne pontefice neo-oscurantista chiede, anzi ordina, che lo Stato italiano approvi immediatamente quanto segue, cito tra virgolette tralasciando qualcosa di terribile sui musulmani: «Divieto tassativo di aborto e divorzio in qualunque caso. Sostegno alle coppie cattoliche. No alle unioni gay, no alle coppie di fatto». Ma soprattutto: «piena revisione dei confini dello Stato vaticano».
Il premier assai renziano trasecola, replica ricordando di essere stato eletto dal 41 per cento degli italiani e ipotizzando la revoca dell’8 per mille alla Chiesa cattolica; il Papa se ne infischia dei soldi per i vescovi e contrattacca minacciando di apparire in pubblico, finalmente, in prossimità delle elezioni politiche, per imporre agli elettori cattolici di non votare, sulla scorta del famoso proclama “Non Expedit” (“Non conviene”) lanciato nel 1874 da Pio IX. Ahimé, trattasi di un mio lontano concittadino senigalliese, come il boia Mastro Titta che tagliava le capocce.
La sfida va avanti. Il politico fa lo sferzante, ma sembra innervosito, l’uomo che ha di fronte è davvero «diabolico»; il religioso annusa l’odore del sangue e azzanna: «Se lei non la smette di fare il cretino sarò costretto a dimostrarle che Dio esiste». Già perché il pontefice americano si sente al sicuro: «Io e Dio grondiamo immaginazione». A quando il ritorno della ghigliottina, della tortura, dell’Inquisizione, delle gabelle, della mezzadria e del Marchese del Grillo?
Una volta tornato nelle sue stanze, mette mano a una gigantesca caccia ai preti omosessuali (un seminarista innocente si ucciderà buttandosi giù da San Pietro), maltratta i francescani scalzi e poveristici che prospettano uno scisma nel caso non si dimetta, impartisce pure l’ordine di scomunicare le donne se, nel segreto della confessione, rivelino di aver abortito.
Ecco. Al di là degli attori più o meno intonati al cimento, delle suore che fumano o giocano a pallone alzando le gonne, del Papa in mutande che si fa i muscoli in palestra, di Silvio Orlando con neo finto che si sente trafitto nella Fede se un capitano dei carabinieri, per giunta interista, gli conferma che Maradona ancora si droga, eccetera; al di là di tutto questo, cioè delle fissazioni estetiche di Sorrentino e del gusto anche ironico per l’auto-citazione, mi chiedo una sola, semplice cosa: ma come si fa a scrivere dialoghi così insensati e pensare poi di farli recitare senza che su tutto si levi una sonora e pia pernacchia?
Michele Anselmi