La chiave di lettura di “Pleasure”, film d’esordio di Ninja Thyberg, è racchiusa in una scena apparentemente insignificante. La protagonista della pellicola, Bella Cherry, emigrata dalla Svezia a Los Angeles per sfondare nell’industria pornografica, è finalmente al cospetto di uno dei produttori che può assicurargli il successo nel mondo dell’intrattenimento per adulti. Per pochi istanti, mentre la pornoattrice entra nel suo lussuoso appartamento, si intravede che Mark Spiegel sta seguendo un servizio televisivo su Donald Trump, emblema per antonomasia del machismo e dell’oggettificazione della donna. È proprio intorno a questi temi che si basa l’aspra critica della regista nei confronti di un sistema capitalistico dominato dalla sottomissione femminile da parte dello sguardo maschile. La libertà di scelta si trasforma ben presto in costrizione e la protagonista è costretta a piegarsi a pratiche sempre più estreme per cercare di scalare i ranghi di un’industria che assomiglia ad una sorta di inferno dantesco. La Thyberg rielabora il concetto di “male gaze” teorizzato da Laura Mulvey e predilige interessanti inquadrature soggettive che simboleggiano lo sguardo predatorio dell’attore porno (e del pubblico) nei confronti del corpo della donna, oltre che inquadrature mediate tecnologicamente, adesso da uno smartphone, adesso da una videocamera professionale maneggiata da un operatore. La regista decostruisce il linguaggio eminentemente maschile del cinema porno, piegandolo ai fini della sua opera per mettere a nudo e denunciare, con uno sguardo questa volta femminile, le imperanti dinamiche di potere agenti all’interno dell’industria che tendono a esaurirsi nel binomio dominatore/dominato. A livello tecnico la pellicola brilla per una curata fotografia che spesso emula, appunto, quella presente sui set pornografici, oltre che per un’interessantissima colonna sonora che ibrida fra loro la musica lirica e la trap, una sorta di collisione imperfetta tra cultura alta e popolare che dona alle immagini una sorta di solennità urbana. Gli attori della pellicola, tranne la giovane Sofia Kappel che qui debutta efficacemente nel ruolo di protagonista, sono tutti impersonificati da reali professionisti dell’industria per adulti. Nonostante la scelta audace compiuta con l’intento di donare maggior credibilità alla scene esplicite, ci si chiede se ciò non finisca in qualche modo perverso per glorificare le loro figure. In fin dei conti, perché un celebre produttore di film per adulti come Mark Spiegel dovrebbe interpretare se stesso in un ruolo che rischia di metterlo in cattiva luce? A volte, infatti, si ha l’impressione che l’ottima forma della messa in scena finisca per sovrastare la sostanza delle riflessioni critiche della regista, complice una sceneggiatura che non brilla per originalità e su cui pesa la reale mancanza di colpi di scena. La cooptazione totale della protagonista alle dinamiche del sistema smorza il finale della pellicola che non può tingersi di toni tragici, ma che si limita a mostrare la spietatezza di Bella Cherry, disposta a tradire pure le amiche pur di sovrastarle nella corsa verso il successo commerciale. La messa in scena di scene esplicite (ed estreme) dall’alto impatto simbolico, in ogni caso, sovrasta la banalità dell’arco narrativo. Una su tutte quella in cui Bella, nonostante le continue rassicurazioni da parte degli attori, non è realmente libera di tirarsi fuori da un’umiliante sottomissione, pena la perdita di credibilità e dell’introito monetario. In conclusione, “Pleasure” è un’interessantissima opera d’esordio che offre uno spaccato delle dinamiche che intercorrono all’interno dell’industria pornografica moderna, mettendole a nudo con crudo realismo. Pecca, però, forse, di una scrittura non sempre calzante e di un finale poco incisivo, non all’altezza della crudezza delle altre scene. In ogni caso, lo sguardo antropologico e quasi documentaristico della regista avrà sicuramente tanto da dire nel prossimo futuro.
Gioele Barsotti