L’angolo di Michele Anselmi

Ho scritto molto di doppiaggio nella mia vita di cine-giornalista, sono amico di parecchi doppiatori e doppiatrici, ammiro il loro lavoro non facile, non sono un cinefilo duro e puro: ma nessuno potrà mai convincermi, come ogni tanto sento dire, che le “voci” italiane migliorano quelle originali. Non sta lì il problema. Il volto di un attore fa tutt’uno con la sua voce e viceversa: ricordo la sofferenza di Tomás Milian, che era cubano, veniva dall’Actors Studio, parlava benissimo italiano, inglese, spagnolo, ed era certo consapevole di quanto il successo popolare di “Monnezza” venisse anche dal doppiaggio fantasioso di Ferruccio Amendola; e tuttavia continuò a lamentarsene finché non tornò a lavorare negli Stati Uniti, dove ricominciò a girare film in presa diretta (Oliver Stone, Steven Soderbergh, Tony Scott).
Il preambolo, sin troppo lungo, serve a rilanciare un semplice consiglio: datemi retta, non siate pigri, guardate film e serie in lingua originale con i sottotitoli, almeno sulle piattaforme. Lo so, all’inizio è faticoso, sembra di dover fare uno sforzo doppio, ma ci si abitua presto e si scopre un mondo sonoro del tutto inatteso. Un esempio facile facile? Il ranchero John Dutton di “Yellowstone”, ora arrivata alla quinta stagione. La voce e il timbro di Kevin Costner sono una cosa, la voce e il timbro del doppiatore Massimo Lodolo sono un’altra. Intendiamoci, Lodolo è un bravissimo doppiatore, ma è specializzato da sempre in ruoli un po’ da cattivo. Risultato? Ha portato il personaggio del patriarca western, coriaceo, conservatore, ma anche capace di improvvisi slanci paterni, verso un “territorio psicologico” che vocalmente non gli addice (secondo me).
Qui sotto trovate due trailer, leggermente diversi, ma con scene comuni: l’uno in inglese, l’altro in italiano. Se vi va, per curiosità, fate il confronto e poi ne riparliamo. Questa non è una “crociata”, s’intende che ognuno fa come vuole, provo solo a suggerire una questione non di poco conto rispetto alla “verità” di una storia, benché all’interno di una logica di programmatica finzione.

Michele Anselmi