Parigi, 9 febbraio 1971. Un gruppo di giovani, contagiati dal fervore politico di quegl’anni, organizza una manifestazione non autorizzata in favore di due dirigenti della Sinistra Proletaria che, incarcerati, reclamano lo status di prigionieri politici. Ha inizio, così, il racconto di un periodo decisivo per la Francia del XX secolo, fortemente caratterizzato dal conflitto tra Stato e Gioventù: da un lato, la violenta repressione della polizia francese, dall’altro, l’esigenza degli studenti di opporsi a qualsiasi forma di limitazione della propria libertà. Sulla scia dei movimenti del ’68, si avvia un’epoca rivoluzionaria che coinvolge in particolar modo le nuove generazioni impegnate nella ricerca della loro dimensione e, di conseguenza, della loro identità. I disordini fanno nascere, in un liceo di periferia, un’attività militante pilotata da Gilles Guiot (Clément Metayent) il quale, appassionato di pittura e cinema, è diviso tra il suo impegno radicale e le sue aspirazioni personali. Insieme agli amici e alla fidanzata Christine (Lola Créton), compierà un viaggio che lo porterà a Londra passando per l’Italia, durante il quale sceglierà il cinema perché, a differenza della pittura, ha la capacità di far rivivere luoghi e tempi ormai perduti che nessun’altra arte è in grado di ripercorrere in maniera così fedele.

Dietro la figura di Gilles si nasconde, però, il regista Olivier Assayas che, attraverso il film, vuole ricostruire la sua adolescenza segnata dal dibattito culturale, da idealismi ormai quasi del tutto scomparsi e dalla potenza contestatrice del pensiero tipica di chi vorrebbe cambiare il mondo e fa di tutto per riuscirci. Pezzo dopo pezzo, Assayas dà un volto denso di dettagli a un periodo tanto ricco quanto devastante, accompagnato dall’originalità di accordi free jazz che viaggiano su un binario parallelo quasi in autonomia rispetto alla vicenda. Qualcosa nell’aria si delinea come un continuum immaginario della pellicola L’eau froide, ambientata nel 1972, in cui viene narrato il percorso emotivo e sentimentale di una coppia di giovani (che guarda caso si chiamano Gilles e Christine), totalmente estrapolati dal contesto politico sviluppato, invece, in quest’ultima opera.

Ma, oltre ad essere un film di stampo politico, Qualcosa nell’aria è, soprattutto, la rappresentazione del cammino che qualsiasi adolescente, di qualsiasi epoca, affronta in quel turbolento passaggio all’età adulta. “Tra noi e l’inferno o tra noi e il cielo c’è solo la vita, che è la cosa più fragile del mondo”. La frase di Blaise Pascal letta da un professore all’inizio del film offre una visione del giovane concentrato sul presente, scevro da quella consapevolezza che solo l’esperienza può donare e collocato su una linea di confine immaginaria che separa l’infanzia dalla maturità.

Gli attori, quasi tutti all’esordio, interpretano con la scioltezza dei professionisti i loro complessi personaggi; forse è proprio la loro inesperienza, unitamente all’intuito del regista nell’attribuire ciascun ruolo, a farli calare nella parte in totale libertà, con la precisa intenzione di tirare fuori la personalità di ognuno. Anche il gioco di luci svolge una funzione essenziale nella descrizione del contesto circostante; l’oscurità, forse eccessiva in alcune scene, pervade gran parte del lungometraggio come a voler riprodurre l’inquietudine di quegl’anni e l’interiorità dei protagonisti satura di dubbi, in contrapposizione alla luce acceccante dell’ultima scena, quando Gilles si allontana mentre scorrono i titoli di coda, quasi come se nel cinema avesse finalmente trovato la propria verità.

Stefania Scianni