Andrej Wajda era atteso a Roma, nei prossimi giorni, per presentare quello che resterà purtroppo il suo ultimo film, “Powidoki”, ovvero “Afterimage”, dedicato al grande pittore Wladyslaw Strzeminski, fondatore della corrente dell’Unismo, espulso dall’università e dal sindacato degli artisti nella Polonia postbellica e assai comunista. Se ne va a 90 anni un grande regista, anche un uomo capace di attraversare, di persona, le tribolate fasi storiche di quel grande Paese sempre in bilico. Per ricordarlo ho ritrovato, e pubblico qui sotto, un articolo a sua firma che riuscii ad avere non senza fatica, e grazie all’aiuto di Mimmo Morabito, per “il Secolo XIX” nell’aprile del 2010, dopo il mai chiarito incidente aereo nel quale restò ucciso il presidente polacco Lech Kaczynski.
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ANDRZEJ WAJDA per “il Secolo XIX” (13 aprile 2010)
Avevo molti amici sull’aereo presidenziale schiantatosi sabato mattina in quel bosco. Ad esempio la moglie del medico che mi ha operato al cuore, salvandomi la vita; e soprattutto Andrzej Przewoznik (il direttore dell’Istituto di storia polacca, che portava avanti le indagini sul genocidio di Katyn, ndr), l’uomo a cui dobbiamo il successo di questi giorni, della collaborazione con la Russia, nonché il monumento ai nostri morti e il cimitero di Katyn. Lì sono andato a pregare pochi giorni fa. Anche molto del mio lavoro e tanti materiali usati nel film li devo a lui, e all’impegno strenuo dei suoi collaboratori.
Mercoledì scorso, 7 aprile, ero a Katyn pieno di speranze per l’incontro tra Tusk e Putin. Le parole del premier russo mi hanno toccato profondamente, perché di solito, in queste occasioni, si sentono semplici scuse ufficiali: per Katyn no, dovevano essere usate altre parole, diverse, più sincere, l’eccidio di Katyn non è stato un crimine qualsiasi o un “incidente” qualsiasi della storia. Io volevo, con tutta la mia convinzione, che fosse riconosciuto come crimine di guerra.
Sono sempre stato profondamente convinto che il crimine e la menzogna di Katyn un giorno avrebbero avuto giustizia, trovato una soluzione, che la verità si sarebbe alla fine imposta. Ma faticavo ad immaginare che un giorno avrei partecipato ad una cerimonia in memoria di quella tragedia proprio nel bosco di Katyn, dove fu ucciso mio padre Jakub, capitano dell’esercito polacco, alla presenza di Putin. Chi poteva mai immaginare che Putin avrebbe abbracciato Tusk, con le lacrime agli occhi?
Credo che noi polacchi abbiamo visto in quella tragedia e nella battaglia politica e di informazione che attorno a quel massacro abbiamo portato avanti per settant’anni una ragione morale per continuare a chiedere la verità. Le vittime della catastrofe aerea di sabato sono gli “eredi” spirituali della catastrofe di allora, restano nel cuore di coloro che con più impegno e determinazione si sono battuti perché uscisse fuori la verità. Per questo la collaborazione che alla fine abbiamo trovato nei russi nasce dal grande sforzo che abbiamo compiuto noi polacchi: per non dimenticare qualcosa che avremmo comodamente potuto dimenticare.
In questo modo abbiamo insegnato ai russi a non scordarsi anche delle loro vittime, dei loro martiri, dei loro morti, a trattare con rispetto la propria memoria. Così facendo, abbiamo generato un comune sentire che ha portato a questi grandi risultati.
Detto francamente, io non credo che esista un legame tra la catastrofe aerea di sabato e il crimine di massa del 1940. Altrettanto francamente, però, mai avrei immaginato che il mio film, “Katyn”, sarebbe stato proiettato in Russia, tanto meno trasmesso dalla tv di quel Paese. Io volevo solo testimoniare, ricordare, sentirmi vicino a quei morti e alle loro famiglie. Mai avrei pensato che tre anni dopo l’uscita del film nelle sale sarebbe stato proprio “Katyn” a spingere ancora avanti la discussione e la storia verso un chiarimento definitivo, a sollecitare le persone a continuare a cercare la verità. Perché la cerimonia e la collaborazione di oggi non possono essere un punto di arrivo, ma solo un inizio: molte domande, bisogna saperlo e dirlo, ancora non hanno una risposta. Ma oggi, nei giorni del lutto, io credo nella collaborazione dei russi, come ci credevo quando ho creato per il film il personaggio del maggiore Popov, il russo che aiuta i polacchi. Perfino nell’esercito sovietico c’erano uomini di coscienza, uomini di Dio, capaci di misericordia, come tanti russi che ho incontrato nella mia vita.
Il 2 aprile il canale “Kultura” ha trasmesso il mio film per decisione politica, è stato visto da 7 milioni di persone, tante, e domenica sera è stato riproposto in prima serata sul primo canale nazionale russo. Ancora più spettatori. Per me è come se si fosse avverato un sogno. Con questo posso dire basta. La mia vita ha avuto un senso. Così come spero che le 96 vittime di Smolenk troveranno un senso nella nostra storia e nella nostra memoria nazionale.
(Testo raccolto da Alessandro Leone domenica 11 aprile. “Katyn” è stato distribuito in Italia dalla Movimento Film di Mario Mazzarotto, con la collaborazione di Alessandro Leone e Renata Rainieri).