L’angolo di Michele Anselmi 

Qualcuno ricorderà. “Il Tempo”, quotidiano romano di destra, ha pubblicato il 30 dicembre 2017 un titolone di prima pagina che indicava Mussolini come “L’uomo dell’anno”, magari pensando d’essere spiritoso. Non sorprende, quindi, che anche quelli di Sky, ramo Vision Distribution, abbiamo ritenuto d’essere “sul pezzo” producendo un film il cui titolo recita “Sono tornato”. Trattasi di commedia asprigna e surreale, ripresa pari pari dal film tedesco di David Wnendt “Lui è tornato” (2015), uscito anche nelle nostre sale; però, nel citare la fonte, Sky preferisce, vai a sapere perché, la dizione teutonica “Er ist wieder da”.
“Sono tornato” esce giovedì 1° febbraio, e probabilmente in molti avranno dimenticato le polemiche sullo stabilimento balneare di Chioggia, le confessioni di Daniela Santanché sulla testa del Duce tenuta sul comodino, le sortite di Laura Boldrini sul disagio dei “vecchi partigiani” di fronte ai monumenti d’epoca fascista, le discussioni sulla legge Fiano, magari pure la ricorrenza delle infami Leggi razziali promulgate nel 1938 dal regime fascista. Ma vedrete che il clima si scalderà comunque un po’ attorno al film diretto da Luca Miniero e da lui scritto insieme a Nicola Guaglianone.
Se nell’originale alemanno il Lui in questione era Adolf Hitler, “scongelato” e tornato a vivere nella Berlino del 2014, il rifacimento italico punta sulla magica resurrezione di Benito Mussolini, con gli esiti che si possono immaginare. Caduto dal cielo nei pressi di un antico marmo romano, il Duce si ritrova coi piedi legati e la divisa lacera nei giardini di piazza Vittorio, a Roma, proprio mentre un documentarista squattrinato, tal Andrea Canaletti, sta girando un servizio sui bambini che giocano a pallone nel cuore della Roma multietnica.
“Siamo a Roma o ad Addis Abeba?” si domanda Mussolini, incarnato da un virile Massimo Popolizio in orbace, con stivaloni e mascellone a vista. Lì per lì nessuno fa a caso a lui, tranne due edicolanti omosessuali, s’intende apostrofati come “pederasti”, che lo nutrono e gli danno un letto, credendolo un comico sciroccato. Finché il Canaletti, nel frattempo licenziato dalla tv a corto di ascolti, non annusa il colpo grosso per farsi riassumere: rintraccia a Villa Torlonia quel Duce intravisto a piazza Vittorio, lo porta in giro per l’Italia in un crescendo di contatti social, infine convince i suoi capi, dapprima scettici, a varare un “Mussolini Show” in prima serata. Sarà un successo: 33 per cento di share, che sale al 66 tra i giovani.
“Non è un film su Mussolini, la storia l’ha già giudicato, ma un film sull’Italia di oggi. Mussolini torna per mostrare la nostra confusione, per far emergere le nostre paure, i nostri desideri” spiega Miniero. Vabbè. Vale anche per l’originale tedesco, che usava la trovata paradossale, un po’ da “sospensione dell’incredulità”, per suggerire, nel crescendo drammatico, cose fin troppo serie. Col risultato di non essere né carne né pesce, anche perché Oliver Masucci come Hitler non era granché. Popolizio è più bravo nel costruire il suo Benito, senza esagerare in mosse e faccioni, anzi suggerendo una diabolica duttilità dell’uomo nell’aderire alle nuove forme di comunicazione.
“Voi mi credete un attore, e io ve lo faccio credere” gongola tra sé e sé prima di apparire in tv, sicuro di poter riconquistare l’Italia 80 anni dopo, aggiornando le parole d’ordine d’un tempo alle nuove paranoie, ai nuovi razzismi, alle nuove insicurezze.
Il film è più o meno come te l’aspetti. Con la differenza che i tedeschi hanno fatto compiutamente i conti con Hitler, mentre gli italiani sembrano meno propensi a farli con Mussolini in nome delle “cose buone del Ventennio”. Miniero naturalmente procede coi piedi di piombo, pur replicando pari pari situazioni, stile e morale del modello tedesco, a sua volta tratto da un libro di successo.
Per dire: il Duce risorto strega il pubblico televisivo coi suoi silenzi enigmatici, ironizza sui “teatranti” che hanno cercato o cercano di imitarlo (appaiono i volti di Craxi, Grillo, Berlusconi, Renzi e Salvini…), ammonisce che “la razza è andata”, adotta come inno personale “L’italiano” di Toto Cutugno pur storcendo il naso per il verso che evoca Pertini, si prende gioco dei cuochi in tv e si presta ai selfie, rimpiange l’uso del congiuntivo e lamenta addirittura la produzione esagerata di cine-commedie, come ai suoi tempi.
“Eravate un popolo di analfabeti e vi ritrovo un popolo di analfabeti” teorizza il dittatore pronto a riprendersi il potere, non solo il suo studio a Palazzo Venezia, e qui sta, evidentemente, il punto di vista del film. Non a caso Miniero mischia linguaggi diversi: interviste per strada e gag da candid camera, saluti fascisti veri e Alemanno che sorride da lontano, luci smaltate da show televisivo e scritte latine. Per dare un sapore di verità all’apologo giornalisti come Enrico Mentana o conduttori come Alberto Cattelan si prestano a fare se stessi alle prese con quell’ospite ingombrante, mentre Sky mette a disposizione marchio, comparse e scenografie.
Fa ridere? A me non tanto. Ma siccome la commedia dev’essere politicamente scorretta, ecco Mussolini-Popolizio che si rabbuia trovandosi a passare per piazzale Loreto, si commuove di fronte a una fotografia di Claretta Petacci, ridicolizza la miseria ideologica di un gruppo di neofascisti che giocano a ping pong. L’idea è di umanizzarlo, renderlo quasi simpatico, per porlo poi di fronte alle nefandezze della storia da lui compiute: non per niente sarà una vecchia signora ebrea malata di Alzheimer a riconoscerlo davvero. Un po’ facile come trovata, no? Ma questo passa il convento.
Di Popolizio, il migliore in campo, s’è detto, Frank Matano è il documentarista spiazzato dagli eventi, Stefania Rocca e Gioele Dix sono i due squali della tv pronti a tutto nel nome degli ascolti.

Michele Anselmi