L’angolo di Michele Anselmi | Pubblicato su “il Secolo XIX”

«Nel Paese della bugia, la verità è una malattia» strilla la pubblicità di “Viva l’Italia”. La commedia di Massimiliano Bruno, nei cinema da giovedì, si propone di mettere alla berlina con un paradosso gli italici vizi della politica e del costume. Funzionerà al botteghino? L’aria è pessima per il cinema nazionale, nei primi mesi del 2012 sceso a una quota di mercato del 23,7 per cento. Neanche i film comicaroli attraggono più il pubblico, se è vero che “Una donna x per la vita” s’è fermato a 337 mila euro e “All’ultima spiaggia”, titolo che è tutto un programma, a 281 mila. In rapporto va meglio – ma con incassi alquanto risicati – il cinema d’autore: Garrone, Virzì, Bellocchio, Soldini, De Matteo…

Nella sostanza, però, nessuno sa più bene cosa raccontare. «Qui si fa veramente dura. Diventata un’emergenza creativa offrire un prodotto appetibile ad un pubblico che non sappiamo più chi è. Il film di Massimiliano Bruno sarà la prova del nove» ragiona Carlo Verdone. Aggiunge: «La verità? Il futuro ormai è visto dagli italiani come una minaccia, non come una speranza. D’altro canto la realtà è andata al di là della nostra commedia. Fiorito “er Batman” ci ha stesi tutti quanti». C’è del vero. Nelle case di produzione si “rottamano” copioni su copioni, si cercano idee universali in stile “Quasi amici”, si evocano Frank Capra e Cesare Zavattini, le loro favole realistiche. Checco Zalone, per dire, ha rinviato a ottobre 2013 l’uscita del suo terzo film, che probabilmente non si chiamerà più “Ancora esisto”: pare sia stato arduo trovare lo spunto giusto. «Non facciamoci illusioni: nel momento stesso che ci ispira, la realtà diventa il nostro nemico numero uno» teorizzava Michelangelo Antonioni negli anni Sessanta, ma il suo era un raffinato dilemma estetico. Qui, invece, non si sa più che diavolo inventare per piacere al grande pubblico.

Massimiliano Bruno, sodale di Fausto Brizzi e reduce dal fortunato “Nessuno mi può giudicare”, ci riprova appunto con “Viva l’Italia”. Commedia corale, a partire dal manifesto, affollato di facce note secondo la moda corrente: Michele Placido, Ambra Angiolini, Raoul Bova, Alessandro Gassman, Rocco Papaleo, Sarah Felberbaum. Proprio Placido, raffigurato con giacca e cravatta ma in mutande e calzini, è il motore della vicenda. Potente deputato del Pdl, avvezzo a macinare cariche e mandati, Michele Spagnolo nei comizi scandisce frasi del tipo: «Non ci può essere un futuro in Italia senza queste tre parole fondamentali: lavoro, sicurezza, famiglia». Ma in privato pratica il bunga bunga con una soubrette arrapante che gli procura un colpo apoplettico. Non schiatta, in compenso l’apoplessia sbullona i freni inibitori del cervello, sicché il politica di centrodestra comincia a straparlare, dicendo e facendo tutto quello che gli passa per la testa. «Non può più fare a meno di dire la verità» ammettono i tre figli. Uno, Riccardo, è un medico capace e socialmente impegnato; l’altro, Valerio, un cialtrone buono a nulla che deve tutto a papà; la terza, Susanna, un’attrice di fiction con la zeppola e nessun talento.

Alle prese con un “Re Lear” teatrale dopo aver diretto a Parigi il poliziesco “Le guetteur”, Placido trova “Viva l’Italia” «una commedia come quelle di Monicelli quand’era giovane: si può anche ridere ma si ride amaro». Del suo personaggio, che nello sfrenarsi entra in conflitto col partito, dice: «Ho molti pesi sullo stomaco, ho compiuto alcune illegalità, parecchie scorrettezze. Ma dopo il coccolone, quando torno in me, decido di vuotare il sacco raccontando la verità. Per una urgenza personale, perché i miei figli siano migliori, consapevoli». Vedrete che qualcuno penserà a Bossi, rovinatosi anche per proteggere malamente i suoi figli. Naturalmente “Viva l’Italia” descrive l’andazzo italiano, tra ospedali, municipalizzate e Rai, con l’idea di far sorridere denunciando un certo malaffare diffuso. «Ma Massimiliano Bruno non è Grillo, lui non predica il qualunquismo. Ci chiede solo di essere vigili verso ogni potere» ha spiegato Placido, magari semplificando un po’ le posizioni del Movimento 5 stelle.

Nel film, prodotto dai Lucisano con Raicinema, l’onorevole aggira una fila e teorizza di fronte alla protesta di una ragazza: «Siamo in Italia. Io sono ricco e passo davanti, lei è povera e si attacca al cazzo». Scatterà l’applauso in sala? La sensazione – magari saremo smentiti – è che anche questo tipo di commedia abbia fatto il suo tempo. Naturalmente il panorama è desolante: incidono il download selvaggio pure tra cinquantenni benestanti, la chiusura di tante sale nei centri storici, i morsi della crisi, la riluttanza degli esercenti a misurarsi con le nuove dinamiche del mercato. Tuttavia – non ci sono dubbi – nessuno sa più bene su che cavallo puntare: sceneggiatori, registi, produttori, distributori. Così si rigira “Il vedovo” di Dino Risi con la coppia De Luigi-Littizzetto, si trasporta in Italia la frizzante commedia belga “Per sfortuna che ci sei”, si dà un colpo di make-up al cinepanettone, si prova a fare il bis a Natale con “I soliti idioti”. «È necessario riaprire il dialogo con un pubblico che vuole essere rincuorato e ritrovare la fiducia, senza essere preso in giro» raccomanda Riccardo Tozzi, presidente dell’Anica e produttore di Cattleya. E tuttavia da “Viva l’Italia!” di Rossellini a “Viva l’Italia” di Bruno il passo è lungo, forse troppo.

Michele Anselmi