L’angolo di Michele Anselmi | Scritto per Cinemonitor

Ascanio Celestini, 43 anni, romano doc e barbetta caprina, è ritenuto poeta della parola e del gesto. “Gramsciano” e “pasoliniano” allo stesso tempo, recita al cinema e al teatro, scrive monologhi e fiabe, incide album, gira film da regista che vanno ai festival. Eppure ci sarà un motivo se “Viva la sposa”, il suo secondo dopo l’applaudito “La pecora nera”, non è nel menù dalla Mostra ufficiale ma figura nelle Giornate degli autori. La sensazione, dopo averlo visto, è che Celestini, qui sceneggiatore, regista e protagonista, non sapesse bene cosa raccontare. Ma siccome è un poeta, guai a giudicarlo con il metro della prosa: gli si fa un torto.
Girato nel quartiere romano del Quadraro, dalle parti di via dei Quintili, il film ha un titolo fuorviante, che allude – con annessa citazione da Wittgenstein sulle note di regia – ai moderni idoli necessari a farci sopravvivere: qui una burrosa attrice hollywoodiana, un po’ in stile Anita Ekberg, che gira l’Italia appunto vestita da sposa.

Celestini è Nicola, «uno che beve, fingendo sempre di voler smettere», guida un furgone, non si capisce bene come viva, ogni tanto fa spettacoli per bambini dove nessuno sorride. Attorno a lui si muove una piccola umanità sderenata e stramba: il piccolo e cicciottello Salvatore, la mamma prostituta Anna, il truffatore Sasà, la nervosetta Sofia con fisico da mannequin, un feroce boss milanese, un carrozziere gentile detto l’Abruzzese… Un affresco vagamente pasoliniano. «Soltanto che dietro queste e altre storie non c’è più il mondo, il popolo e i sentimenti raccontati da Pasolini. C’è il caso» spiega Celestini. Il quale, sotto i colpi dell’”Ave Maria” di Schubert dopo aver tracannato una Sambuca, si presenta così mettendosi a letto vestito: «Come sono contento di essere diventato un burattino di legno».
Randagio e disperato, con una buona dose di macabra ironia e un’accusa veemente nei confronti della Polizia manesca, pure omicida, “Viva la sposa” è coprodotto dai fratelli Dardenne, sfodera la vivida fotografia a luce naturale di Luca Bigazzi, propone nel cast l’ex galeotto Salvatore Striano e l’ultraprofessionale Alba Rohrwacher. Più che Pasolini, in realtà viene da pensare ai fratelli Citti, ma loro possedevano una truce candidezza capace di assurgere alle vette della poesia cinematografica. Celestini no.

Michele Anselmi