L’angolo di Michele Anselmi
Magari è solo una coincidenza, o forse no, fatto sta che a due settimane dall’uscita del veltroniano “Quando” ecco arrivare nelle sale, oggi giovedì 13 aprile, “I Pionieri” di Luca Scivoletto. Sempre del Pci si parla, di ciò che fu quel partito, nel bene e nel male, in una prospettiva di commedia, senza nostalgia alcuna ma con affettuoso senso del ricordo. Il titolo, avrete capito, non allude ai pionieri ottocenteschi del Far West. Ci si riferisce all’Associazione dei Pionieri d’Italia, con tanto di giornalino redatto da Gianni Rodari, che funzionò tra il 1950 e il 1960, come alternativa “comunista”, di vaga ispirazione sovietica, al mondo dello scoutismo di matrice cattolica cattolica. L’Api raggruppava i ragazzini tra gli 8 e i 13 anni, arrivarono ad essere anche 180 mila. “Prometto di amare i lavoratori e di essere sempre d’aiuto agli oppressi e a coloro che più soffrono” sanciva per iscritto la Promessa del Pioniere.
Il siciliano Scivoletto, classe 1981, sulla base di ricordi personali già trasfusi in un romanzo edito da Fandango, recupera quella materia drammaturgica per farne un film buffo e gentile, appena un po’ inconsistente, che può essere collocato, per rendere l’idea del clima, tra “Cosmonauta” di Susanna Nicchiarelli e “Moonrise Kingdom” di Wes Anderson.
Siamo a Modica, nell’estate del 1990, dopo un prologo ambientato cinque anni prima mentre ferve la mobilitazione del Pci contro la base militare americana di Comiso. Il tredicenne Enrico, figlio di militanti comunisti, vorrebbe passare un’estate normale invece di girare la Sicilia col padre funzionario che ambisce a diventare segretario regionale. Così, pur di sottrarsi a infinite riunioni di sezione, scappa nel bosco insieme all’amico Renato, una specie di Antonio Gramsci in miniatura (stessi occhiali, stessa pettinatura), deciso a rinverdire la tradizione dei Pionieri. Si associa al trio un coetaneo un po’ manesco, Vittorio Romano, figlio di un fascistello locale, ma in fondo buono. L’idea è di cimentarsi con un’avventura di sopravvivenza, e chi se ne frega se i genitori sono preoccupati; tutto cambierà quando una volitiva, pratica e carina fanciulla italo-americana, Margherita, scappata invece da un campeggio degli Scout, farà la loro conoscenza. Per Enrico sarà il colpo di fulmine.
Il film, meno di 90 minuti, budget al risparmio, ricostruzione d’ambiente un po’ approssimativa, farà sorridere in particolare chi ha avuto a che fare col Pci, perché è trapunto di riferimenti ai tormenti di quel partito dopo il crollo del Muro, il disfarsi dell’Urss e la nascita della “Cosa”. Il piccolo ideologo gramsciano grida infatti all’estenuato Enrico: “Tu complice della svolta di Occhetto?”; ma lui, che vorrebbe indossare le scarpe Reebok e vedere “Rambo” al cinema, spasima per la straniera, esponendosi alla derisione per via di alcune macchie sospette attorno alla patta dei pantaloni.
Mi pare rischiosa ma carina l’idea di far apparire, prima come consigliere spirituale e poi come amichevole angelo custode, il fantasma di Enrico Berlinguer, ben “incarnato” da Claudio Bigagli con la sigaretta in mano e la cadenza sarda: una presenza che ricorda un po’ il Bogart di “Provaci ancora, Sam” e fa dimenticare la carognata di “Esterno notte”.
Mattia Bonaventura, Francesco Cilia, Danilo Di Vita e Matilde Sofia Fazio sono i quattro ragazzini in fuga dai genitori, ben scelti e naturale nel recitare; sul versante degli adulti stanno al gioco Peppino Mazzotta, Lorenza Indovina, Eleonora Danco e Maurizio Bologna. Per un attimo si vede anche Roberto Nobile, nel ruolo di un carabiniere comprensivo; di lì a poco, purtroppo, il bravo attore sarebbe morto.
Battuta cult del film, prodotto da Fandango e Raicinema: “Il comunismo è finito” obietta Enrico. “Non qui” replica Renato.
Michele Anselmi