L’angolo di Michele Anselmi
 
“Non voglio essere una sopravvissuta, voglio vivere” protesta una madre in “Quel giorno tu sarai”, il bel film di Kornél Mundruczó che esce domani in 90 copie, con Teodora, per il Giorno della Memoria (27 gennaio). Mundruczó, per chi non ricordasse, è il regista ungherese che ha realizzato negli Stati Uniti il notevole “Pieces of a Woman”, premiato a Venezia 2020 e prodotto da Martin Scorsese. Il quale appare anche qui in veste di “executive producer”, a sancire una stima professionale che s’è trasformata in densa amicizia.
In originale il film, passato in concorso a Cannes 2021, si chiama “Evolution”, un titolo che può sembrare generico, fuorviante, e invece coglie benissimo il senso del racconto, diviso in tre quadri, ispirato a storie vere benché in una chiave a tratti surreale, dolorosamente surreale. La Shoah c’entra eccome, essendo la sceneggiatrice Kata Wéber un’ebrea ungherese che ha trasposto nel trittico episodi vissuti dalla propria famiglia.
Tre nomi – Éva, Léna e Jónás – presentano i rispettivi episodi.
Nel primo, girato come un angoscioso piano-sequenza, siamo ad Auschwitz subito dopo l’arrivo dei soldati sovietici. Tre manovali della Croce rossa polacca ripuliscono con scopettoni, solventi e polvere bianca una delle “docce” utilizzate dai nazisti per uccidere col gas migliaia di ebrei. Ma lo sporco non viene via, le macchie sembrano indelebili, e anzi dagli interstizi del livido muro o dal pavimento che cede affiorano capelli, tanti capelli, intrecciati, quasi fossero corde infinite. I gesti dei tre si fanno disperati, tutto suona irreale, finché da una presa d’aria non si diffonde il pianto di una bambina di pochi mesi, incredibilmente viva: Éva.
Nel secondo, siamo a Berlino, l’ormai anziana Éva, forse colpita da demenza senile ma a tratti ancora lucida, litiga con la figlia Léna, che s’è appena separata dal marito manesco e vorrebbe accompagnare la mamma a ritirare una sorta di premio in denaro destinato ai sopravvissuti. Ma la natura ebraica della vecchia donna viene considerata poco attendibile sul piano burocratico, e questo crea nella figlia ulteriore ansia: “Eravamo ebrei quando non potevamo esserlo, e ora che possiamo essere ebrei ci impediscono di esserlo”. Il confronto tra le due è duro, realistico, anche penoso, finché nella casa non accade qualcosa di strano: fortemente simbolico.
Nel terzo siamo sempre a Berlino, ma oggi. Éva è morta, la figlia Léna sfodera un altro taglio di capelli e vive in un piccolo appartamento con il figlio adolescente Jónás. Il ragazzo è mite, fantasioso, ogni tanto si concia da zombi, suona il pianoforte, solo che viene “bullizzato” dai suoi compagni di scuola. E se fosse perché è ebreo? Un incendio in classe allarma la madre, lui sdrammatizza, i suoi pensieri sono tutti per una coetanea araba, Yasmine, alla quale il padre ha fatto radere tutti i capelli perché li aveva tinti di blu. Tra i due, nel giorno di San Martino, nasce qualcosa.
Fotografato mirabilmente da Yorick Le Saux, “Quel giorno tu sarai” suggerisce senza spiegare, s’interroga sulla forma e la sostanza delle radici ebraiche, sull’offesa indicibile inferta a un popolo, ma anche sull’esigenza di superare il trauma e aprirsi agli altri, assecondando una sorta di “evoluzione”. Poi, però, pensi a quanto è successo poche ore fa qui in Italia (Venturina Terme) a quel dodicenne di origine semita insultato e malmenato da due ragazze appena più grandicelle, al suono terribile di “Zitto te, ebreo di merda, brucia nei forni”, e capisci che ogni volta bisogna ricominciare da capo.
Michele Anselmi