L’angolo di Michele Anselmi

Il 27 ottobre del 1990 moriva Ugo Tognazzi, a soli 68 anni, fulminato da un’emorragia cerebrale. Sono passati tre decadi e certo i suoi ultimi anni non furono allegri: credo che si sentisse un po’ messo da parte, aveva deciso di dedicarsi al teatro in attesa che il cinema si ricordasse di lui, ma forse il momento d’oro era passato per sempre. Solo Bertolucci, nove anni prima, gli aveva offerto un ruolo di quelli che contano e rincuorano: protagonista di “La tragedia di un uomo ridicolo” e infatti vinse un premio a Cannes per la migliore interpretazione maschile. Inutile dire che è stato un attore titanico: versatile, arguto, onnivoro, capace di prendersi in giro, di far ridere e piangere, anche senza dire una parola (il sarto muto di “Straziami ma di baci saziami”), insomma così diverso dagli “altri colonnelli” , pur bravi o bravissimi, della commedia italiana.
A me stava molto simpatico e in fondo mi piaceva anche nei film venuti maluccio: penso a “Il petomane”, dove certo si espose, immagino volutamente, a qualche rischio di immagine, convinto di poter dare dignità, e un po’ ci riuscì, a quello strano mestiere. Ricordo, per quel poco che conta, un pomeriggio di tanti anni fa. Lavoravo a “l’Unità”: lo raggiunsi nella sua bella villa a Velletri per un’intervista su non ricordo quale film in uscita. Fu cordiale e gentile, poi alle sette di sera, dopo avermi offerto un bicchiere di un’acqua sorgiva che chiamava orgogliosamente “Tognazzelle”, mi liquidò con un sorriso, chiedendomi di capirlo: doveva preparare 23 orate per cena e non voleva sfigurare. In tanti l’hanno preso in giro per le sue manie da chef, specie Mario Monicelli si divertiva a rovinargli le serate al momento del voto che l’attore richiedeva agli amici. Eppure qualcuno mi disse, forse il figlio Ricky, che sapeva cucinare bene davvero.
Sono innumerevoli le cose belle fatte dal cremonese Ugo Tognazzi, sin dai formidabili sketch televisivi con Raimondo Vianello, e poi tanti film, così diversi l’uno dall’altro. Uno dei miei preferiti resta “Il commissario Pepe” di Ettore Scola; ma come non ricordare il suo lungo sodalizio con Marco Ferreri, e poi titoli come “Il federale”, “I mostri”, “Romanzo popolare”, “La Califfa”, “In nome del popolo italiano”, “Amici miei”. E che dire, tra le partecipazioni, del suo diabolico cardinal Rivarola in “Nell’anno del Signore” e dell’attore umiliato alla festa, costretto a un ballo da infarto sopra un tavolo, in “Io la conoscevo bene”? Solo per citarne alcuni. Ma era bravo, forse unico, in quasi tutto ciò che faceva. Anche nello sdoppiarsi per una pubblicità della China Martini, “amara come la verità, dolce come una lusinga”, girata nel 1985, quando le cose sembravano andare storte: eccola nel link qui sotto.

Michele Anselmi