L’angolo di Michele Anselmi

A volte è bello sbagliarsi. A proposito di “Quo vadis, Aida?” scrissi dalla Mostra di Venezia 2020: “Mi pare difficile che da noi esca, nonostante il titolo così italianeggiante. Sarà perché i film sulla guerra civile nell’ex Jugoslavia sono assai respingenti al botteghino, anche quando degni di nota”. Invece no. Giovedì 30 settembre arriva nelle sale, con Academy Two e Lucky Red, il film che Alberto Barbera volle appunto in concorso alla 77ª Mostra del cinema. L’ha scritto e diretto una regista di Sarajevo, Jasmila Žbanić, classe 1974, che si definisce “una sopravvissuta della guerra in Bosnia”. La storia narrata sembra infatti incisa sulla sua pelle, come una ferita mai rimarginata, anche se le scene di morte sono tenute tutte fuori campo, per evidente scelta stilistico/morale.
Si parla del massacro di Srebenica, che avvenne nei giorni successivi all’11 luglio del 1995, quando i “cetnici” filoserbi del generale Ratko Mladić, dopo aver preso la città in teoria “zona franca”, misero in atto una gigantesca operazione di pulizia etnica nei confronti dei musulmani che cercavano rifugio nella vicina base Onu gestita dagli olandesi del colonnello Thom Karremons. Il tutto visto attraverso gli occhi di Aida, una maestra di scuola elementare, con marito e due figli adulti, presa come traduttrice presso quel contingente di “caschi blu” (è la brava e intensa Jasna Duričić).
Il film si vede con crescente disagio, sapendo come andarono a finire le cose: ufficialmente sono 8.372 le vittime della strage, e poco più di un anno fa, in occasione del 25esimo anniversario, sono stati ritrovati altri resti umani (furono perlopiù gli uomini ad essere trucidati e sepolti in fosse comuni disseminate qua e là). La cineasta ricostruisce quei giorni cruciali con taglio secco, senza tanti fronzoli. Da un lato c’è il feroce generale Mladić, sicuro di potersi permettere ogni arbitrio grazie ai suoi soldatacci ben addestrati; dall’altro l’inetto colonnello Karremons, mollato anche dal suo governo, oltre che dall’Europa, e alla testa di un branco di giovanotti spaventati; in mezzo quella popolazione affamata, impaurita, rassegnata al peggio.
Diciamo che la ricostruzione degli eventi, mi auguro accurata, si fa perdonare i difetti di stile e di drammaturgia, pure un certo schematismo retorico che si affaccia nel finalissimo ambientato anni dopo. Il paragone tra serbi e nazisti scorre sottotraccia, a ricordarci quanti danni incalcolabili possono provocare l’ignavia, la debolezza e l’indecisione. Già: perché la piccola armata di Mladić non fu bombardata, come promesso, dagli aerei dell’Onu?

Michele Anselmi