L’angolo di Michele Anselmi | Scritto per Cinemonitor
Paolo Del Brocco, da sette anni amministratore delegato di Raicinema, convoca i giornalisti a mezzogiorno per parlare di un tema che gli sta a cuore. Questo: “Nuove produzioni e prossime sfide – Per una diversa idea di cinema”. Qualcuno tra i colleghi presenti, magari alludendo alle voci riguardanti un possibile taglio ai budget della consociata Rai, chiede il perché dell’incontro proprio ora, ma l’interessato non raccoglie, e anzi risponde con una pioggia di cifre. Del tipo: dal 2010 al 2016 Raicinema ha contribuito a realizzare 372 film, di cui 182 tra opere prime e seconde per un investimento complessivo di circa 380 milioni di euro; ha finanziato 300 documentari altri 17 milioni di euro; ha collaborato con circa 300 società di produzione e 520 registi, eccetera.
In effetti Raicinema non sembra patire particolarmente la crisi, soprattutto degli incassi. “È un momento delicato, ma la situazione a me non pare drammatica” minimizza Del Brocco, che invita (il sottoscritto?) a non strapazzare le commedie andate male o malissimo al botteghino, come “Non è un Paese per giovani” e “Slam. Tutto per una ragazza”, che lui invece trova molto riuscite, addirittura coraggiose. Subito dopo ribadisce le due parole-chiave del suo agire, s’intende in sintonia con i vertici attuali di Viale Mazzini: “Innovazione” e “Discontinuità” (naturalmente nel solco della “Tradizione”). E via con le slide divise in sette capitoletti: “La nostra storia”, “Cinema del futuro”, “Coming of Age”, “Pop italiano – Generation”, “Cinema senza frontiere”, “Cinema del reale”, “Oltre il confine”. Per un totale di una quarantina di titoli: e se non tutti saranno distribuiti da 01, tutti portano, in quote diverse, il marchio Raicinema.
I nomi sono di peso: Matteo Garrone con “The Dogman”, ispirato alle trucide imprese del “Canaro”; Mario Martone con “Capri – Batterie”, ambientato nell’isola campana ai primi del Novecento; Daniele Luchetti con “Io sono Tempesta”, forse riferito a Berlusconi ai servizi sociali; Marco Bellocchio con “Il traditore”, sul pentito di mafia Buscetta; i fratelli Taviani con “Una questione privata”, dal romanzo di Fenoglio; Gabriele Salvatores col seguito del “Ragazzo invisibile”; i Manetti Bros con “Ammore e malavita”, un po’ musical e un po’ “poliziottesco” e tante altre cose ancora.
Molti i giovani arruolati, da Roberto De Paolis con “Cuori puri” a Fulvio Risuleo con “Look Up”, da Sebastiano Riso di “Una famiglia” alla coppia Piazza-Grassadonia di “Sicilian Ghost Story”. Anche se la curiosità dei giornalisti si concentra sulle prime immagini di due film girati in inglese, negli Stati Uniti, da registi italiani. Sono “Soldado” di Stefano Sollima, seguito ufficiale di “Sicario”, quindi un trionfo di sparatorie, scoppi e inseguimenti; e “The Leisure Seeker” di Paolo Virzì, protagonisti Helen Mirren e Donald Sutherland.
C’è molta attesa per il road movie americano del cineasta livornese, ormai lanciatissimo e reduce dai David di Donatello per “La pazza gioia”. “The Leisure Seeker” è stato sottoposto ai selezionatori del festival di Cannes: bisognerà attendere ancora qualche giorno per sapere se il direttore Thierry Frémaux lo vuole in concorso, in caso contrario potrebbe aprirsi l’ipotesi veneziana, forse addirittura preferita da Raicinema, perché più a ridosso delle uscite italiana e statunitense.
Chi ha visto il film dice che “è semplicemente straordinario”. Bisogna fidarsi, perché le scene mostrate in anteprima, per quanto scelte con cura, non permettono di farsi un’idea. Per chi non ricordasse, “The Leisure Seeker” è una storia on the road tratta dal romanzo di Michael Zadoorian edito in Italia col titolo “In viaggio contromano” (Marcos y Marcos). Sutherland e Mirren incarnano i due stagionati protagonisti scappati da casa su un vecchio camper del 1978. Budget da quasi 15 milioni di euro, nove settimane di riprese, attori anglosassoni, lingua inglese, ma apparato tecnico tutto italiano: Luca Bigazzi alla fotografia, Massimo Cantini ai costumi, Carlo Virzì alle musiche, Jacopo Quadri al montaggio.
Sul tema, diciamo la verità, i modelli statunitensi si sprecano, da “A proposito di Schmidt” con Jack Nicholson a “Nebraska” con Bruce Dern, ma qui a mollare tutto per l’ultimo viaggio è una coppia sposata da mezzo secolo, piuttosto male in arnese. “The Leisure Seeker”, suppergiù “Chi cerca il tempo libero”, è il nome di un mitico camper della Winnebago molto in voga negli Usa benché australiano; ma è chiaro che suona anche come una metafora esistenziale, un dolce esorcismo, un dichiarazione poetica. Perché nel film i due stagionati protagonisti, inventati dall’autore con riflesso autobiografico, si mettono in viaggio da Boston verso Disneyland lungo la dorsale Est, nel romanzo invece percorrono la trasversale Route 66 partendo da Detroit, con il semplice scopo di scappare da tutto per vivere l’inatteso che resta.
Non è la prima volta che i due attori, l’uno canadese e l’altra inglese, recitano insieme, c’è chi li ricorda in “Bethune: il mitico eroe” di Phil Borsos, 1990; però qui li ritroveremo alquanto invecchiati, resi ottuagenari, a un passo dal congedo. John è un anziano professore in pensione da cinque lustri, colto e vivace, ma sfibrato dall’Alzheimer, spaventato all’idea di finire all’ospizio. Ellen è viva per miracolo, le metastasi la stanno divorando, ma raccoglie le ultime forze, si mette la parrucca e convince il marito, che la ama pur non ricordando il suo nome, a mettersi in viaggio. Alla faccia dei due figli Will e Jane, dei consigli di medici e paramedici, delle analisi da fare e dei rischi da affrontare.
Per Virzì “quella di Zadoorian, così densa di umanità ed emozioni, non è solo una storia americana, parla universalmente di vita, di amore, del trascorrere del tempo, della malattia, della forza e della fragilità dei legami familiari». Il tutto, s’intende, trattato alla sua maniera: con una punta di tenerezza e ironia miste a leggerezza. Un’altra pazza gioia?
Michele Anselmi