Tutto ha inizio con un concorso di bellezza fuori dai canoni. A partecipare non sono donne dalla bellezza scultorea, ma montoni. Per gli abitanti della valle islandese, terra brulla e ostile percorsa da raffiche di vento gelido, il riconoscimento attribuito al vincitore vale molto più di una semplice coccarda assegnata a una sagra di paese. Ne sanno qualcosa Gummi e Kiddi, due fratelli che, pur vivendo a cinquanta metri l’uno dall’altro, non scambiano parola da quarant’anni. Quando uno vince il concorso sotto il naso e la lunga barba dell’altro, la gelosia prende il posto del fastidio e dell’indifferenza. E nonostante tutto entrambi saranno solidali nell’affrontare l’inevitabile: l’abbattimento di tutti gli allevamenti della vallata a causa di una pandemia che non perdona.

Rams – Storia di due fratelli e di otto pecore di Grímur Hákonarson lascia il passato fuori campo spargendo suggerimenti qua e là. Momenti di vita quotidiana sono offerti al pubblico senza orpelli, mostrando il vero così come accade giorno dopo giorno. Gummi attende la sua cena in solitudine davanti al microonde per poi tagliarsi le unghie dei piedi sulla vasca da bagno con un paio di cesoie. L’uomo non cerca compagnia. I visitatori sono regolarmente messi alla porta. Kiddi, nonostante le apparenze di omaccione nerboruto, è un carattere più fragile. Grande e grosso, cerca rifugio nell’alcol costringendo il fratello a prendersi cura di lui regalando così al pubblico momenti di puro cinema slapstick che prefigurano il pathos di fine pellicola. Cresciuti in un ambiente umano e culturale che nega lo scambio affettivo (vissuto come momento di debolezza), i due pastori si lasciano andare con il bestiame soltanto. La pecora è percepita nello specifico come grosso cane messo al mondo per essere accudito e coccolato.

Un ritmo lento va a braccetto con l’avvicendarsi delle stagioni accompagnando a tempo di metronomo la breccia di un sorriso che spiana i volti dei protagonisti. In questa storia fuori dal tempo non mancano amare riflessioni sulla solitudine che accomuna i fratelli protagonisti. Hákonarson narra la tragedia familiare con uno stile asciutto e punte che si avvicinano al cinema western. La maestosa fotografia sottolinea la mancanza di umani all’interno dei paesaggi mentre le angolature dal basso catturano il peso di cieli bianchi striati di grigio, gravidi di piombo. Gli interni evocano una vita poco appariscente. Una lattina di piselli utilizzata per la cena di Natale e la camicia a quadri di Gummi, logora sul gomito. Non più adatta per il lavoro, è stata declassata a guardaroba casalingo. Detto questo, i nodi centrali della trama sono del tutto contemporanei. La fiducia in se stessi e nelle proprie potenzialità è uno dei fondamenti della cultura popolare islandese. Tuttavia la caparbietà romantica di questo archetipo è divenuta col tempo più complessa, più donchisciottesca se vogliamo. I fratelli di Rams, tenaci nella loro faida, resistono ugualmente al cambiamento del loro stile di vita, mantenendo con le loro forze il titolo di allevatori indipendenti. Il patrimonio rurale dell’Islanda e la sua vitalità oggigiorno sono stati sottotesto per diversi film: dal burlesque di Storie di cavalli e uomini (Benedikt Erlingsson) al gotico e solitario di Metalhead (Ragnar Bragason).

Qui Hákonarson costruisce un soggetto vero e proprio. La trama costringe Gummi e Kiddi a interagire quando le circostanze minacciano di spazzare via la loro esistenza così come è stata tramandata loro generazione dopo generazione. Toccante e sensibile, Rams – Storia di due fratelli e di otto pecore è un racconto nordico, storia di contrasto e amore fraterno trattata come breve storia d’amore. Sotto la superficie di grossi e barbuti vichinghi i personaggi tracimano bisogno d’affetto mentre cercano di curare le loro ferite interiori. Rifiutando la contemplazione passiva per dedicarsi all’essenziale, il cineasta riesce a razionalizzare e a rafforzare la drammaticità della storia. E per quanto possa apparire fuori dalla norma, l’emozione che ci attende al di là della soglia di casa è calda e avvolgente.

Chiara Roggino