“Io non sono contro la fede, ma contro il conformismo, l’oppressione, il condizionamento e l’educazione alla mediocrità della cultura cattolica”. Marco Bellocchio, ateo convinto, parla così del suo rapporto con la religione. Dichiarazioni importanti per capire quale sia lo sguardo del regista sul caso Mortara, raccontato nel suo nuovo film “Rapito”, in concorso alla 76° edizione del Festival di Cannes. Una storia che ha diviso il mondo cattolico dell’Ottocento. Siamo a Bologna, nel 1858, quando ancora la città appartiene allo Stato Pontificio, ed è sotto l’influenza del Papa-Re Pio IX (Paolo Pierobon). Il piccolo Edgardo Mortara (interpretato da Enea Sala e Leonardo Maltese) è un bambino di sette anni, appartenente ad una numerosa famiglia ebrea. Un giorno i soldati del pontefice irrompono in casa sua, con l’ordine di portarlo via dalla famiglia per fornirgli un’educazione cattolica. Il motivo? Edgardo, a pochi mesi di vita, sarebbe stato segretamente battezzato dalla domestica dei Mortara, convinta che il piccolo stesse per morire a causa di una malattia. Viene così strappato dalle braccia dei suoi genitori e portato a Roma, nella Domus Catecumenorum che si occupa della conversione al cattolicesimo di bambini provenienti da altre confessioni religiose. Il film prende a questo punto due direzioni. Da un lato segue la battaglia dei coniugi Mortara (interpretati da Fausto Russo Alesi e Barbara Ronchi) per riportare il figlio a casa. Le provano tutte, dal prendere contatti con la stampa ai tentativi di avviare un dialogo interreligioso, ma ogni sforzo risulta vano. Dall’altro lato il film racconta il percorso di conversione di Edgardo che, costretto ad allontanarsi dall’ebraismo, apprende il cattolicesimo per emulazione. Imita così i gesti dei suoi compagni durante le messe, senza capire fino in fondo quello che sta facendo, ed impara a memoria le preghiere. Quei rituali, ripetuti quotidianamente, vengono alla fine da lui interiorizzati, tanto che non si allontanerà mai dalla fede cattolica. Il regista non ce l’ha con il cattolicesimo nel complesso, lo dimostra il suo sottolineare l’indignazione dei credenti dell’epoca per il caso Mortara. Piuttosto si mostra contro certi aspetti della cultura della Chiesa, quelli più ritualistici, appresi passivamente, che nonostante il cambiamento dei tempi rimangono uguali a loro stessi. È poi anche critico verso quei dogmi e quelle rigidità che non guardano in faccia a nessuno, per i quali il benessere di un bambino è meno importante del fatto che essendo battezzato vada obbligatoriamente educato come cattolico. Bellocchio racconta le vicende rimanendo fedele alla verità storica, tranne che in due scene dalla splendida potenza evocativa. La sua è come sempre una regia raffinata, che si arricchisce qui di un gusto pittorico per le inquadrature, alcune delle quali ricordano certi dipinti di Caravaggio, con una sola fonte di luce che proviene di lato. Una storia che farà indignare gli spettatori, che non considera il mondo cattolico come interamente negativo, ma che vuole mostrare le sue ombre, quegli aspetti spiacevoli che aveva un tempo, e che ha in parte ancora oggi.

Martina Genovese