Torna alle origini il regista spagnolo Amenábar con il suo ultimo film, intitolato per l’appunto Regression e in sala dal 3 dicembre con Ethan Hawke e Emma Watson. Un thriller di matrice psicologica: investigativo, fitto di misteri e costruito sui drammi e sulle fobie, ancestrali e mentali, scaturite dalla regressione psicologica, una situazione che mina i rapporti e le relazioni sociali dei soggetti che ne sono affetti, costringendoli a vivere in balia di fatti ed eventi del passato. Anche Amenábar ne è afflitto, ma la sua è una “regressione” più filmica, una “regressione” anche di tipo stilistico che lo riporta ai suoi esordi cinematografici: rispetto all’ultimo Agorà (2009), sulla figura di Ipazia, filosofa matematica e neoplatonica vissuta negli ultimi anni dell’Impero romano, preferisce tornare ad un’ambientazione contemporanea, siamo nel 1990 a Minnesota, e ad un genere a lui più familiare e congeniale come il thriller, frequentato fin da Tesis e Apri gli occhi.

Capace di scavare nella psiche umana e di mostrare i drammi più intimi e ancestrali dei personaggi, il regista, come in The Others, ci parla di paure che attanagliano i protagonisti, legate a figure non viventi che hanno comunque fatto parte del loro passato e che rivivono nella loro mente. E, come in Tesis, suo primo lungometraggio ambientato nella facoltà di Scienze dell’Informazione e giocato proprio su meccanismi psicologici, la regressione di natura psicologica, a cui si riferisce il titolo, è una patologia collettiva, non più circoscritta ad un unico ambiente familiare e vissuto in un luogo intimo.

Alessandra Alfonsi