L’angolo di Michele Anselmi per Cinemonitor
Avviso a quei pochi che vanno al cinema con l’aria che tira. Dal 7 giugno, in appena tredici copie, c’è in giro un gran bel film francese che ha assolutamente bisogno di essere rianimato o lo perdiamo, uso non a caso i due verbi: si chiama “Ippocrate” (dal giuramento di…), l’ha scritto e diretto nel 2014 un ex internista d’ospedale, Thomas Lilti, che due anni dopo, su argomenti simili, avrebbe girato un altro bel lungometraggio, “Il medico di campagna”.
Distribuito coraggiosamente da Movie Inspired, “Ippocrate” ha incassato 12.500 euro in tutto, ed è un peccato, perché i francofoni sanno parlare come pochi di questi argomenti, senza scimmiottare le serie americane; viene da pensare, per dire, a “La donna senza nome” dei fratelli Dardenne, a “Quello che so di lei” di Martin Provost, a “150 milligrammi” di Emmanuelle Bercot.
Naturalmente “Ippocrate” nasce da esperienze personali in corsia che Lilti reinventa o rielabora in chiave drammaturgica ambientando la storia in un ospedale parigino, il Widal 2, alle prese con tagli di bilancio, risparmi sugli strumenti, scioperi di infermieri e medici a causa dei turni massacranti. Qui arriva una mattina il 23enne Benjamin Barois, figlio del potente primario, per un tirocinio di sei mesi. Gli affibbiano subito dieci camere e diciotto pazienti, ma il giovanotto, sicuro di sé nonostante il camice macchiato e pure due taglie più grandi, non sembra intimorito dal cimento. In realtà capirà subito, alla prima puntura lombare da eseguire, che quanto crede di aver imparato all’università è assolutamente inutile sul campo. Mentre i suoi colleghi guardano nei momenti liberi “Dr House, Benjamin stringe amicizia con un bravo medico algerino, Abdel, anch’egli precario e in attesa di assunzione, che prende molto sul serio quell’esperienza.
“Fare il medico non è un mestiere… è una specie di maledizione” teorizza Abdel, il quale sa parlare ai pazienti con gentilezza, conosce l’importanza del “fattore umano”, specie quando non c’è più nulla da fare. Come nel caso di un’anziana signora devastata dalle metastasi che chiede solo di morire senza più soffrire, e invece qualcuno penserà bene di metterle prima un sondino per alimentarla e poi di rianimarla inutilmente.
“Ippocrate” è un film ben scritto e recitato, che fa discendere dallo scorrere degli eventi, anche assai tragici, un ritratto impietoso ma non cinico della vita ospedaliera in Francia. Si vede che Lilti maneggia fatti, situazioni e dilemmi etici che conosce; e naturalmente il giovane Benjamin, incerto tra coerenza e carrierismo, verità e menzogna, si troverà a far esplodere il bubbone per sottrarsi alle convenienze sempre più soffocanti.
Lo so, esiste tutto un genere ospedaliero, e sembra quasi impossibile oggi prescindere da serie come “ER – Medici in prima linea” o “Grey’s Anatomy”; e tuttavia “Ippocrate” non appare invecchiato, benché sia di quattro anni fa. Magari si poteva rinunciare a qualche canzone in inglese, ma lo sguardo è realistico senza essere punitivo, e gli interpreti, specie nella versione francese, sono azzeccati: dal protagonista Vincent Lacoste a Reda Kateb, da Jacques Gamblin a Marion Denicourt.
Andate a vederlo in fretta, se interessa l’argomento, domani o dopo potreste già non trovarlo più nelle sale.
Michele Anselmi