Birdman ha fatto incetta di premi. A parte qualche convinto detrattore, il nuovo film di Alejandro Gonzalez Iñárritu ha conquistato pubblico e critica portandosi a casa anche quattro premi Oscar.  Tra i meriti quello di una narrazione cinematografica fuori dagli schemi, a cui Iñárritu deve probabilmente la sua fortuna, il suo stile ha saputo conquistare gli amanti della tecnica e non solo chi si appassiona alla narrazione filmica. Non spenderemo qui altre parole rispetto a quanto già non sia stato detto e se ne dirà. Lasciamo da parte le connotazioni tecniche e artistiche per esplorare la dimensione del racconto.
Riggan Thompson deve la sua popolarità all’interpretazione del supereroe Birdman, è ossessionato dalla celebrità e vuole dimostrare a se stesso e al pubblico di essere ancora in grado di mantenere alta la sua reputazione di attore cimentandosi nell’adattamento, regia e interpretazione di un’opera teatrale. Nell’arco di tutto il film, Riggan è tormentato dalla necessità di affermare se stesso mediante il consenso e l’approvazione altri. Appalta a terzi la sua stima: recensioni positive, visibilità sui social network o applausi dalla platea, sono il mezzo per consacrare il peso della sua personalità. Fuggire all’oblio sembra essere la preoccupazione di un’esistenza.

Un personaggio fittizio quello di Riggan che può essere anteposto alla protagonista di un recente documentario: Alla ricerca di Vivian Maier (Finding Vivian Maier, USA, 2013). Il docufilm diretto da John Maloof e Charlie Siskel cerca di ricostruire, attraverso frammentati ricordi, la vita della fotografa americana Vivian Maier. Nel 2007 John Maloof, giovane rigattiere di Chicago, acquista all’asta degli scatoloni stracolmi di rullini fotografici. Da alcuni effetti personali risale al legittimo proprietario, una stravagante bambinaia, Vivian Maier o Meier o ancora Mayer, come riportato su vecchie ricevute. L’avventura cinematografica di Maloof si snoda alla ricerca di indizi, testimonianze, utili a ricostruire l’identità di una donna che nel corso della sua vita ha fatto di tutto per restare invisibile.
Una governante e bambinaia che ha scattato nell’arco della sua esistenza migliaia di fotografie, rivelandosi oggi, dopo la scoperta di Maloof, una prodigiosa street photographer. Lo sguardo di Vivian Maier, attraverso l’obiettivo, era profondo, accurato, spesso cinico e seppur convinta della bontà del suo lavoro, come non mancherà di scrivere a un suo conoscente francese, non ha mai stampato nessuna delle sue fotografie. Nel suo lavoro sono presenti molti autoritratti, in cui noi oggi intravediamo un’inquietudine interiore, frammenti della sua identità, alle volte riflessi in altri oggetti, di cui lei ha mantenuto il ricordo solo attraverso l’obiettivo, senza mai trasferirlo su carta.

Anche Riggan Thompson si guarda spesso allo specchio, e in un gioco di regia, sotto la sua immagine riflessa appare una sorta di didascalia: “Una cosa è una cosa e non quello che si dice di quella cosa”, un monito a se stesso probabilmente, che troppo si cura di quello che di lui si dice. In Thompson la percezione del sé passa dall’ammirazione di coloro che lo circondano e il successo personale dalla capacità di non essere dimenticato. Vivian Maier si cura dell’opposto, ha la precisa volontà di passare inosservata, di vivere nel segreto, di nascondersi e non bramare nessun successo artistico.
Eppure il dubbio esistenziale che Vivian pone a uno dei bambini in uno dei suoi filmati è: “E ora dimmi come si può vivere per sempre?” Un pensiero che sembra accomunare entrambi. Vivian Maier aveva una risposta, così come si può ascoltare in uno dei suoi nastri: “Nessuno è eterno, bisogna lasciare il posto agli altri, è un ciclo. Abbiamo tempo fino alla fine e poi un altro prenderà il nostro posto. È tempo di chiudere e tornare al lavoro.”
Verità che Riggan Thompson, nella sua storia cinematografica, non è riuscito ad accettare mentre Vivian Maier, contrariamente alla sua volontà, pur consapevole di una transitoria esistenza, è riuscita a strappare al tempo un briciolo di fama eterna. Poco vale l’affannarsi a resistere al tempo quando l’immortalità, alla fine, è un gioco del caso.

Chiara Pascali