Introduzione
 
 

Beat è il viaggio dantesco, il beat è Cristo, il beat è Ivan, il beat è qualunque uomo, qualunque uomo che rompa il sentiero stabilito per seguire il sentiero destinato”.

 
E’ con questa frase di Gregory Corso che s’intende iniziare questo breve lavoro di analisi su alcune delle più importanti e significative opere di David Cronenberg, regista canadese che più di ogni altro ha saputo scrutare e rappresentare le mutazioni dei corpi attraverso la lente perforante ( e performante) del mezzo cinematografico. Gregory Corso è stato uno dei poeti americani appartenenti al movimento della beat generation, movimento artistico-letterario originatosi intorno agli anni ‘50 negli Stati Uniti al quale lo stesso Cronenberg sembra essersi ispirato restandone in qualche modo anche “contaminato”. Il fulcro originario di questo movimento vedeva i suoi sostenitori opporsi all’intero sistema americano, messo pesantemente sott’accusa per la guerra in Vietnam, per le discriminazioni razziali e di sesso, nonché per l’intero sistema mediatico. Fra i sostenitori di questo movimento troviamo anche lo scrittore William Seward Burroughs che nel 1958 pubblicò Naked Lunch (Il pasto nudo): racconto tratto e ispirato da pensieri sconnessi e deliranti che lo stesso autore annotava su foglietti sparsi per tutta la sua casa. E’ il 1991 quando David Cronenberg decide di portare l’opera di Burroughs sul grande schermo dando vita al film dall’omonimo titolo “Il pasto nudo”.
 
Le inter-connessioni che vogliamo indagare prendono spunto dall’analisi di alcune opere del regista canadese, connessioni che si instaurano fra i diversi piani della narrazione, della realtà, della finzione e dell’inconscio in un gioco di salti temporali e spaziali dove, la percezione dello spettatore non può che recepirli come un’unica realtà, per l’appunto, inter-connessa . Ci limiteremo, per motivi di spazio, a indirizzare l’analisi su film come Videodrome (1983), eXistenZ (1999) e il già citato Naked Lunch.
L’oggetto di studio racchiude queste opere che, non solo hanno dato una visione originale e inquietante sulle mutazioni dei corpi e sui confini sempre più labili tra il possibile e l’impossibile, ma che rappresentano al contempo uno straordinario strumento di analisi per affrontare il tema della “ri-mediazione”. Essa  è stata definita come “la rappresentazione di un medium che avviene all’interno di un altro medium, caratteristica peculiare dei nuovi media digitali[2]
 
 
La ri-mediazione che qui ci proponiamo di far emergere è quella che avviene all’interno del corpo dei personaggi di Cronenberg, la rimediazione del nostroche smette di essere fisso e passivo e diventa produttore attivo di significati e atti comunicativi, che “assorbe” i media e si ribella, esplora nuovi universi fino ad arrivare a giungere a nuove identità attraverso la video-parola che diventa carne (come nel caso di Videodrome che vedremo meglio più avanti).
Il corpo è da sempre, non solo nell’universo cinema, concepito come un medium perfetto. Funziona per qualsiasi epoca, sa adattarsi, mutare e ri-mediarsi. Sà soprattutto, comunicare. E’ per certi versi indipendente da tutto il resto.
Qui lo si vuole considerare non solo come elemento imprescindibile per la realizzazione di un film, o di una qualsiasi opera audiovisiva così com’è stato sin dalla nascita del cinema, ma come qualcosa che va oltre e che sconfina. Qualcosa che rompe le barriere dell’incomunicabilità, dello spazio e del tempo, in un panorama comunicativo contemporaneo dove la comunicazione sembra assumere tantissime forse e nessuna. L’emergere dei nuovi scenari digitali favorisce inoltre la nascita di rapporti sempre più inter-connessi e multipli che moltiplicano il numero delle informazioni da decodificare e ri-trasmettere.
I film che andremo ad analizzare si prefiggono l’obiettivo di individuare e fornire elementi per ampliare e arricchire il nostro lavoro e vedere quale prospettiva il “nuovo-medium”, il personaggio principale, assume di volta in volta.
 
David Cronenberg: l’onironauta
 
Regista visionario, predicatore dell’inconscio come fonte d’ispirazione e coscienza, indagatore della “materia” umana nelle sue molteplici vesti e sfumature -che proprio nei suoi film abbiamo avuto modo di apprezzare- ,Cronenberg non pone filtri nel dare vita, attraverso le immagini, alle sue ossessioni umane ponendo un continuum lungo tutta la sua filmografia: il tema della metamorfosi è sicuramente uno fra gli elementi trainanti nella costruzione e nella rappresentazione delle sue storie.
Ha ereditato dal movimento della beat generation, la volontà di una fortissima opposizione critica alla società e al suo tentativo di dominare e “sottomettere” l’individuo.
Proprio per questo motivo è stato,  rimane, e sarà sempre, fra quei registi che più faranno discutere e dibattere a causa dei controversi e intricati intrecci presenti nei suoi film. Nel complesso le narrazioni di Cronenberg fanno intravedere dei sincretismi culturali, nei quali
 
“[…] permane un senso di disordine, di confusione, di sporcizia. Di “selvaggeria”. E di movimento desiderante e inquieto.[…] Capire il sincretismo è cruciale per capire il processo di cambiamento e continuità, acculturazione, diffusione, innovazione, imitazione, modernizzazione o globalizzazione […] Esso è una follia del linguaggio che forza e mette in disordine i confini delle parole per dare nuovi sensi alle cose”

 

 
Se il sincretismo racchiude un mix di codici e differenze da ri-combinare e mescolare per la (ri)produzione di sensi, nelle opere del regista canadese il concetto assorbe l’accezione di “visuale”: le immagini dunque rapiscono lo spettatore, non per la loro nitidezza e pulizia, ma al contrario per i loro tratti sporchi e per le inter-connessioni multiple che sono capaci di scatenare e che si vengono a creare tra il corpo e gli universi che quest’ultimo si ritrova ad affrontare. Non la perfetta sovrapposizione di forme e realtà, ma l’intreccio di differenze che producono esperienze incredibili e affascinanti che portano lo spettatore verso un’esperienza visiva unica, e in alcuni casi allo stesso tempo, onirica.
Nel cinema di Cronenberg ogni immagine, ogni codice, diventa un pezzo di un puzzle più grande   che alla fine risulterà esser l’ “io” dello spettatore. Nel rapporto di quest’ultimo con l’immagine finisce per instaurarsi una simbiosi che produce uno scambio reciproco continuo, una dipendenza l’uno dall’altra (spettatore-immagine). Si ha bisogno di un mutuo consenso: lo spettatore si lascia trasportare e immergere nei nuovi sensi che le immagini generano, e quest’ ultime in cambio continuano a offrire un’esperienza che lo spettatore percepisce come un’estensione delle sue capacità cognitive  e sensoriali del suo “io” immerso nel film.


Videodrome: il teorema dell’immagine
 
Partorito dalla mente di Cronenberg nel 1983, Videodrome è sicuramente tra le opere più discusse del regista canadese. Non tanto per quello di cui parla, ma piuttosto nella messa in scena della storia che sembra saltare costantemente dalla realtà alla finzione televisiva, dall’inconscio al subconscio senza stancarsi mai di mescolare e invertire questi processi. Sin dall’inizio lo spettatore rimane disorientato nel tentativo di razionalizzare tutta la trama, salvo scoprire poi che l’unico modo che ha per comprenderla è quello di “andare oltre” lo schermo. Proprio come avviene nel film, quando l’ennesima allucinazione spinge il protagonista Max a desiderare cosi tanto le labbra che gli parlano dallo schermo tanto da entrarci con la sua stessa testa dentro.                                                                                                                                                                                                       
Max Renn è uno dei responsabili di Canale 83, un’ emittente televisiva via cavo. Durante alcune ricerche con l’ausilio di un pirata che lavora con lui nel laboratorio, captano quasi casualmente il segnale di una strana emittente televisiva: la reazione alle prime immagini è shoccante. Videodrome, questo il nome del canale video, trasmette senza interruzioni deliranti e violenti snuff movie dove vengono mostrate torture e violenze in diretta. Nei giorni seguenti Max partecipa ad un talk show incentrato proprio sul rapporto immagini-violenza ed è qui che conosce Nicki, la conduttrice, e l’ambiguo prof. O’Blivion (che accetta di partecipare ma solo in collegamento video esterno). Max decide di far vedere Videodrome a Nicki che ne rimane affascinata e “attratta”. I due diventano amanti e insieme iniziano a fare delle ricerche per saperne di più. Il loro rapporto è contraddistinto da rapporti sessuali spinti e allucinanti, Max durante uno di questi  la perfora con degli spilloni nei lobi. I due scopriranno che dietro il canale si nasconde il prof. O’Blivion che è in realtà morto già da due anni e che “sopravvive” solo grazie a videoregistrazioni che qualcuno contribuisce a far apparire. Scoprono inoltre che Videodrome è prodotto da una multinazionale americana la “Spectacular Optical” e che guardando il “canale della morte” si viene contagiati da un tumore al cervello che provoca allucinazioni e distorsioni delle percezioni della realtà. La multinazionale ben consapevole delle ricerche di Max lo contatta per mettere in atto un diabolico piano di controllo e persuasione di tutta la società americana. Diffondere il canale come un virus per il controllo sulle masse attraverso il protagonista. Una delle scene più forti è sicuramente quella in cui al nostro protagonista viene inserita una videocassetta “pulsante di vita” nel suo stomaco che si ritrova aperto come fosse stato squarciato. Realtà? Finzione? Allucinazioni? Il rapporto tra carne e video non è mai stato più profondo e mescolato come in questo film. La video-parola che si è fatta carne è dunque il nuovo paradigma per il dominio delle informazioni e per il controllo del potere. Max è il neo-medium, è qui che viene in qualche modo ri-mediato: il suo corpo veicolo di messaggi e archittettura di allucinazioni vaganti e disturbanti, ne conterrà un altro con il compito di diffonderlo e sarà lui stesso il mezzo per realizzarlo. Programmato per uccidere gli altri membri della multinazionale, Max si armerà con una pistola che tirerà fuori dal suo stomaco mutando-si in una protesi della sua mano, un connubio uomo-macchina completamente sottomesso al potere di Videodrome. In totale balìa degli ordini, Max viene riprogrammato per eliminare gli stessi creatori del video-canal,e fino a quando sarà proprio Nicki a fargli comprendere l’ultima mutazione possibile e di una possibile fine di tutto, seppur tragica. Max si toglie la vita assicurando linfa per la creazione di un’altra: “Gloria e vita alla nuova carne”.
La mortificazione del corpo fa da preludio alla sottomissione elettronica della nuova carne, il consumatore di immagini passivo diviene uno strumento per l’ottenimento e il controllo del potere. Insita nel film c’è anche il tema della ribellione al controllo e alla persuasione, dopo la trasformazione Max infatti avverte di non esser più in uno stato di coscienza e di aver perso il controllo su se stesso. Un rapporto morboso con il proprio con corpo e con lo spettatore, la denuncia di una televisione che produce cancri al cervello, di una dipendenza dalla quale l’uscita sembra esser lontanissima, gli oggetti che diventano sempre più organici e vivi dai quali non riusciamo più a separarci fino a diventare una cosa sola con essi. L’ultima sequenza, il doppio suicidio di Max, prima in video e poi reale e cinematografico, è ancora una volta l’incontro tra falso e reale, il nulla, l’insieme al tempo stesso di Jekyll e di Hyde. L’elevato potere della diffusione dei messaggi che il tubo catodico manda è qui ben rappresentato e viene messo in luce di come in realtà esso può raggiungermi ovunque e di come l’uso sconsiderato dei media produca effetti in alcuni casi devastanti. Uno dei video-messaggi trasmessi nel film dice a Max: “La televisione è la realtà, e la realtà è meno della televisione. La realtà è una video-allucinazione”
La critica principale di Cronenberg è quella verso una spersonalizzazione dell’individuo e una costante mercificazione delle informazioni a favore di un individuo pronto ad obbedire agli ordini della pubblicità, delle multinazionali e della televisione, pronto a ingurgitare tutto ciò che gli viene detto come se fossero delle pillole, rendendolo così un drogato delle immagini.
Il film seppur realizzato diversi anni fa è quanto mai attuale nel far riemergere con forza e incredibile attualità tutte queste tematiche. Altro elemento importante è che non sono solo i governi o le multinazionali che hanno il controllo, ma seppur inconsciamente esso è insito anche dentro ognuno di noi. Sta a noi capire quali siano i messaggi di cui farci portatori e quali invece filtrare lasciandoli nel tubo catodico.
 
eXistenZ: dall’esistenza all’ eXistenZa
 
Se in Videodrome Cronenberg ci prepara alla visione di uno “sconfinamento culturale”, in eXistenZ ci mette nella condizione di attraversali. Ancora una volta il regista canadese ri-disegna la realtà, vera o presunta, virtuale o reale, e lascia a noi la scelta di seguirla o meno.
Il titolo con le lettere X e Z in maiuscolo, lascia presagire che sicuramente non sarà il solito film che affronta il rapporto uomo-tecnologia-virtuale con i soliti effetti visivi e finali apocalittici. Il film parla della contaminazione biologico-meccanica indotta dalla tecnologia, il pericolo (o la salvezza?) del passaggio da un’esistenza a un eXistenZa: la perdita di senso della realtà, le numerose identità che l’individuo assume nella realtà virtuale, il tentativo di dominare il mondo reale e quello virtuale, si fondono come da tradizione cronenberghiana fino a proiettare lo spettatore/individuo in un mondo nuovo.
A dare sostegno e vitalità alla struttura narrativa di Cronenberg, come sempre fuori dagli schemi, sono due personaggi, Allegra Geller e Ted Piqul che si ritroveranno a dover fuggire da una parte all’altra: lei è l’inventrice di un incredibile gioco (il Pod), un composto di materia organica a sottolineare che la nuova tecnologia non è più solo ferro e metallo ma quasi biologica e viva profondamente innestata dunque sulle persone, di cui diventa estensione organica: il pod che permette il gioco è in “metaflesh”, assemblato cioè con carne di animali mutanti, ed è alimentato dall’energia del corpo del giocatore attraverso una sorta di cordone ombelicale che penetra nella colonna vertebrale. Il prezzo da pagare per liberarsi della propria prigione corporea, la limitata mobilità che la nostra presenza fisica ci impone, è quello di scardinare l’integrità di questo spazio, trapiantarvi in modo dolorosamente diretto una bioporta tecnologica che permette l’evasione e l’accesso al gioco. Il corpo è visto come un ponte, un medium che permette la ri-mediazione e la ri-produzione di un altro ( quello immaginato, sognato, virtuale o reale che sia). L’unico “mezzo” che garantise l’esperienza di una realtà virtuale non predeterminata, ma frutto di sogni – paure – deliri del giocatore/individuo. I problemi arrivano nel momento in cui un “movimento realista” ( ancora una volta il regista come in Videodrome vuole denunciare l’abuso di potere e delle multinazionali e i crimini a cui sono pronti a tutto in nome del dio denaro) cercherà di uccidere Allegra che sarà salvata proprio da Ted scampando così ad un               attentato. Immersi nel gioco i due protagonisti andranno alla ricerca di tutte le informazioni per riparare il Pod che è stato danneggiato durante l’attentato. Ciò che Cronenberg mette in scena non è altro che il disperato tentativo di fuga dalla realtà, del piacere nascosto dietro oggetti e “materie” impensabili, la de-strutturazione mentale e fisica a cui spesso si va incontro senza accorgersene.
X e Z, volutamente maiuscole nel titolo, rimandano ai piani cartesiani? Alla biologia molecolare? Alla sfida spaziale/temporale ( e al contempo percettiva/sensoriale) a cui il regista ci chiede di “partecipare” e di condividere. Gli stessi spazi all’interno dei quali i protagonisti lottano e sperimentano il “nuovo mondo”. La visione del film è già una sfida. Le estremità diventano persone, i “metauniversi” che attraversiamo continuamente impongono impegno e sforzi cognitivi sempre maggiori con il rischio di perderci trai meandri della tecnologia e dei media:
 
“I media, usati per provocare brividi ed eccitazione, producono una situazione emotiva generale che conduce ad un crescendo, una crescente esigenza di catarsi, di un bagno di sangue. Qualsiasi tipo di eccitamento o emozione contribuisce alla possibilità di pericolose esplosioni, quando i sentimenti di vaste popolazioni sono mantenuti accesi anche in tempo di pace, per la promozione ed il commercio”

 

 
eXistenZ resta tuttavia un bellissimo manifesto del cinema di Cronenberg, perennemente intento a indagare la seduttiva tensione tra corpo – materia e mmagini, senza nessuna pretesa di sorprendere lo spettatore, esige semplicemente la nostra propensione a credere che tutto ciò che stiamo vedendo, da qualche parte dentro o fuori di noi, esiste.
 
  
Conclusioni
 
L’aspetto più sorprendente del cinema di Cronenberg è come esso sia riuscito, nella costruzione delle sue opere, ad anticipare e cogliere aspetti e sfumature della società contemporanea nella quale viviamo oggi. E non solo. Ne ha anticipato e fatto intravedere scenari che allora erano sicuramente difficile da prevedere, soprattutto nei loro futuri sviluppi.
L’altro punto fondamentale è come i temi trattati sono stati sempre inter-connessi con la natura umana, l’inconscio e sub-conscio, una linea che ha fatto da trait d’union lungo tutta la cinematografia del regista canadese. Ogni film è un’architettura sudaticcia di materia organica e pulsioni, dove l’attore principale di turno è spinto a cercare in profondità l’essenza dell’universo nel quale si trova. Di come poi Cronenberg, riesca a immergere spettatore e protagonista del film all’interno di universi sensoriali, diversi di volta in volta, con così tanto fascino e bellezza tecnica non è dato sapere. Probabilmente una piccola parte è dovuta alla magia sprigionata dalla macchina da presa, ma probabilmente anche perché in quasi tutti i suoi film è possibile rintracciare quella fusione tra il piano soggettivo della realtà e quello oggettivo dalla quale scaturisce un’esperienza immersiva per chi guarda il film.
I film che abbiamo analizzato sono stati contenitori per approfondire la nostra chiave di lettura. L’uso del corpo umano non solo come strumento principale per la messa in scena di un film, ma soprattutto come “mezzo” per veicolare messaggi e non semplicemente comunicandoli, ma ri-mendiandoli. Incorporando cioè all’interno del proprio corpo, medium e messaggi, segni e codici. Mutando la sua stessa fisionomia corporea per fondersi ancora di più con lo scopo della missione e il messaggio da trasmettere e diffondere. La visione di Videodrome, eXistenZ e del citato Pasto nudo, riescono a far capire più delle parole questi risvolti, le immagini sono infatti “pervasive”: si attaccano al corpo e agli occhi dello spettatore che non può che restare stupefatto di quanto avviene sotto i suoi occhi. L’avvento delle tecnologie digitali e la moltiplicazione dei media, ha messo le persone dinanzi ad una quantità ancora maggiore di informazioni da recepire e de-codificare. Il rischio sempre maggiore è quello di non riuscire più a districarsi fra gli innumerevoli scenari a cui i media ci chiedono di partecipare. La costante di Videodrome ed eXistenZ è riscontrabile in quanto affermava Joshua Meyrowitz, secondo il quale l’utente attraverso le varie forme di personalizzazione a cui ha libero accesso, si posiziona nell’era digitale, non più come mero fruitore, ma diventa la “matrice dei media[5]”.
I soggetti di Cronenberg non sono identità fisse, i nuovi media hanno bisogno di una mobilità del pensiero che non resti imprigionato in rigidi schemi e che se necessario accetti la “somatizzazione” così come viene intesa nelle parole del prof. Massimo Canevacci:
 
“La somatizzazione è qualcosa che sta nello stesso tempo dentro il corpo e nei suoi tessuti esterni, lungo trame comunicazionali neoanimiste, lungo immaginazioni e perversioni. Non è realistica, la somatizzazione: è qualcosa di deforme.[…] in questo efferato rovesciamento del desiderio in qualcos’altro, il corpo si trasforma in pustole del desiderio[…]”

 

 
Non è forse ciò che vediamo in eXistenZ? Per accedere al gioco i personaggi dovevano avere innestata sulla spina dorsale una bioporta al quale collegare il Pod. In alcune scene del film Cronenberg mette in risalto come in realtà queste fungono anche come “zone del desiderio” che possono esser stimolate molto facilmente al solo tocco umano.
Se da un lato lungo tutto il suo percorso cinematografico sembra metterci in guardia dai rischi che si corrono con un utilizzo smisurato dei media, dall’altro vuole suggerirci che solo entrando in “simbiosi” con loro riusciremo a coglierne tutti i fondamentali aspetti. Il suo è un cinema “vivente” che sconfina e scardina la narrazione intrappolata in rigide regole, per regalarci un’esperienza visuale unica.
Sono dunque gli interrogativi, più che le risposte, a tormentare e ispirare i racconti del regista. Come lui stesso ha dichiarato:
 
“La mia visione di che cos’è la realtà è molto soggettiva. Quando si fa un film, la realtà è prima di tutto una convenzione: che cosa si accetta di considerare come reale in un film?”



[1] Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Beat_generation
[2] Bolter J., Grusin R., Remediation. Understanding new media, MIT Press, Cambridge (Mass.); trad. it. Remediation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, prefazione e cura di A. Marinelli, Guerini e a Associati, Milano, 2002
[3] Cit. M. Canevacci, in Sincretismi. Esplorazioni diasporiche sulle ibridazioni culturali, Costa & Nolan, 2004 pag. 28
[5] Cfr. Pasquali F., I nuovi media. Tecnologie e discorsi sociali, Roma, Carocci, 2003. (pag. 109)
[6] Cit. M. Canevacci, in Sincretismi. Esplorazioni diasporiche sulle ibridazioni culturali, Costa & Nolan, 2004 pag. 187