L’angolo di Michele Anselmi
Tutti governi, di centro, di centrodestra e di centrosinistra, fanno le nomine a piacimento, con una certa arroganza “proprietaria”, spesso senza nemmeno attendere l’esaurirsi dei mandati. Hanno sempre fretta. Mettere il cappello sopra un’istituzione culturale di chiara fama poi scatena una libidine unica, per la serie “c’è un nuovo sceriffo in città”. Oggi, come sapete, Carlo Fuortes s’è dimesso da amministratore delegato della Rai con un anno di anticipo (era stato nominato nel luglio 2021 dal governo Draghi). Mi auguro che, in un sussulto di dignità, non accetti come risarcimento la direzione del teatro San Carlo di Napoli: non sarebbe uno spettacolo commendevole. Ma certo ci si chiede perché la destra al potere abbia questa pulsione tendente al “repulisti” immediato, sconveniente anche nei modi.
Un esempio per restare in ambito culturale? Nel 1999 Alberto Barbera fu nominato direttore artistico della Mostra del cinema di Venezia, dopo l’esperienza, da molti ritenuta deludente, fornita da Felice Laudadio, il quale avrebbe voluto abolire i premi e fare organizzare la Mostra da Cinecittà: lo disse in una conferenza stampa a fine festival, dando le dimissioni da direttore con gesto spettacolare.
Barbera doveva restare alla guida della Mostra per un quadriennio. Invece fu fatto fuori un anno prima, nel 2002, dal ministro berlusconiano Giuliano Urbani, il quale, non si capisce perché, o forse sì, pensò bene di liberarsi sia di Barbera sia di Baratta, quest’ultimo sostituito da Franco Bernabè e due anni dopo da Davide Croff, detto “l’indossatore delegato”.
Risultato? Fu ingaggiato al volo, per dirigere la Mostra, l’apolide Moritz de Hadeln, uno certo del ramo come direttore di festival, il quale fu il primo a restare sorpreso della chiamata. Non sapeva, l’ignaro Urbani, che de Hadeln custodiva nel telefonino una suoneria con le note dell’Internazionale, intendo proprio l’inno comunista.
Infatti de Hadeln durò solo due anni, per essere sostituito da Marco Müller, un altro esperto del ramo, con ottime relazioni internazionali, illustre sinologo, ma tendente a sgomitare un po’. Infatti quando Baratta tornò a presiedere la Biennale, con Rutelli ministro del secondo governo Prodi, i rapporti tra i due si fecero bollenti. Forse ricorderà chi è dell’ambiente.
Passò qualche anno e Müller, con la destra tornata al potere, pensò che il ministro Giancarlo Galan, succeduto all’ineffabile Sandro Bondi (che ricordi eh…), avrebbe nominato il pubblicitario berlusconiano Giulio Malgara alla testa della Biennale, invece cadde il governo Berlusconi, arrivò Monti e il ministro Lorenzo Ornaghi richiamò Baratta, che si liberò dell’incauto e molto chiacchierone Müller, era il 2011, per nominare di nuovo Barbera, il quale tuttora regna applaudito sulla Mostra di Venezia.
Non saprei dire se l’attuale ministro alla Cultura, il flamboyant Gennaro Sangiuliano, già direttore del Tg2, prima leghista e ora meloniano, abbia in animo di far fuori anzitempo il presidente della Biennale, Roberto Cicutto, e con lui, s’intende, Barbera. Mi auguro vivamente di no: sarebbe il caso, a differenza dei suoi disinvolti predecessori di destra, di salvare almeno le forme oltre che la sostanza.
Michele Anselmi