L’angolo di Michele Anselmi | Scritto per Cinemonitor

Era l’estate del 2004. Per mesi il povero Pietro Taricone aveva praticato una dieta ingrassante da 4000 calorie al giorno. Ingurgitato dolci, carboidrati e integratori proteici per raggiungere i 105-110 chili previsti dal personaggio di “Pericle il Nero”, il balordo camorrista che fa letteralmente “il culo alla gente” uscito dalla fantasia dello scrittore Giuseppe Ferrandino (Adelphi 1998). Con scrupolo maniacale da Actors Studio, l’ex “Taric” del “Grande Fratello” aveva sfidato colesterolo e trigliceridi per farsi, sullo schermo, ciccione, sfatto, stordito, insomma irriconoscibile. Poi il film, che doveva essere diretto da Francesco Patierno, non si girò più. Mancò all’ultimo momento la copertura finanziaria. Troppo sgradevole la storia di questo tuttofare camorrista, aduso a stordire e sodomizzare chi sgarra, salvo poi ritrovarsi braccato dal suo stesso boss? Pericle, nelle intenzioni di Patierno, ricordava Maradona, un campione tragico e grottesco insieme. Torpido, rassegnato, poco loquace.

Undici anni dopo “Pericle il Nero” sbarca a Cannes, nella sezione “Un certain regard”. Il titolo è ancora quello, ma di quel progetto c’è rimasto poco. Adesso producono Valeria Golino, in giuria al festival, e i fratelli Dardenne con Alain Attal; il regista è Stefano Mordini, quello di “Provincia Meccanica” e “Acciaio”; il protagonista ha la bella faccia, solo un po’ sgraziata dal trucco, di Riccardo Scamarcio; e il copione è stato riscritto dal regista con Valia Santella e Francesca Marciano con molte libertà. La più significativa delle quali è l’ambientazione: non più Napoli ma Liegi, con una scappata a Calais.
Il noir diventa nerissimo, fosco e brutale, anche se cerca nell’ambientazione internazionale, tra dialetto napoletano e battute in francese, luci nebbiose e neon freddi, una dimensione esistenziale, da “spaesamento”, in linea con certo cinema d’autore da romanzo criminale. Schematizzando un po’, per dare l’idea, diciamo che “Pericle il Nero” sta tra “Anime nere” di Francesco Munzi, “Una vita tranquilla” di Claudio Cupellini e soprattutto “Senza nessuna pietà” di Michele Alhaique (in fondo il Mimmo di Piefrancesco Favino che recupera i crediti spaccando le ossa è parente stretto di Pericle Scalzone, detto, appunto, “il Nero”).
La battuta chiave, c’è anche nel fulminante romanzo di Ferrandino, è questa: «Don Luigi, io che dovevo fare?». «Non dovevi proprio nascere». Don Luigi è il boss delle pizzerie, intrattiene un rapporto quasi paterno con il suo tirapiedi prediletto, lo ospita spesso in famiglia; solo che Pericle, inviato a pestare un prete considerato irrispettoso, ha esagerato, colpendo ripetutamente col sacchetto di plastica pieno di sabbia anche “Signorinella”, camorrista senza più potere fatta arrivare di nascosto da quelle parti.
Per Pericle scatta la condanna a morte: il giovanotto si nasconde, annusa i killer che arrivano, ogni volta lascia dietro di sé una scia di sangue. Meglio scappare a Calais, dove rimorchia una giovane madre, Anastasia, che lavora in una brasserie e sogna di aprire un locale tutto suo (nel libro è polacca, fa la barista, si chiama Nastasia). Ma anche lì i sicari lo raggiungono, e a quel punto Pericle capisce che nessuno gli è amico: non gli resta che regolare i conti con Don Luigi e farsi dare i soldi da regalare, forse, ad Anastasia.
Climi notturni, palazzoni tetri, corpi sfatti, sagome di traghetti illuminati, quel tipico grigio-belga caro ai Dardenne; solo che Mordini, che pure si avvale della livida fotografia di Matteo Cocco, non possiede la profondità, il rigore, la forza espressiva dei Dardenne, l’indagine sull’amorale e solitario Pericle, metà orco e metà povero cristo, si stempera in una lunga teoria di passeggiate malinconiche con improvvisi scatti di ferocia riscaldati, per contrasto, da brani jazzati.
Certo, “Pericle il Nero” sfodera uno stile, nell’impaginazione, nelle immagini, nell’uso degli attori (bravi Riccardo Scamarcio con sopracciglia unite e codino da samurai, Marina Foïs e Gigio Morra, pessima Maria Luisa Santella); ma, appunto, la sensazione è che tutto resti esteriore, “vorrei ma non posso”, scopiazzato un po’ lì e un po’ là. Nelle sale con Bim dal 12 maggio.

Michele Anselmi