L’angolo di Michele Anselmi
“Mi piace pensarlo come una fiaba” spiega Antonio Albanese a proposito di “Contromano”. Troppo facile, francamente. Anche le fiabe, se si occupano di “certi temi spinosi”, dovrebbero non stravolgere del tutto il principio di realtà. Per dire: se un immigrato col permesso di soggiorno scaduto viene fermato dai carabinieri perché guida un’auto rubata usando una patente senegalese non valida da noi, be’ mi pare difficile che venga rilasciato solo perché la sceneggiatura ha deciso così.
Prodotto da Fandango e Raicinema, “Contromano” esce il 29 marzo con 01 Distribution, e sono sicuro, lo dico senza alcuna malizia, che la commedia godrà di un’ottima promozione, non solo sulla Rai, essendo il film co-sceneggiato da Andrea Salerno e Makkox, l’uno direttore editoriale di La7, l’altro fumettista fisso a “Propaganda Live” sempre su La7.
L’idea del film, presentato oggi alla stampa, lambisce il paradosso, anzi vi sprofonda dentro. “Se tutti riportassero un migrante a casa, il problema sarebbe risolto” ipotizza Albanese. Che è proprio quanto si acconcia a fare il personaggio da lui interpretato. Tal Mario Cavallaro: milanese doc, cinquantenne, pedante, tradizionalista, anaffettivo, “felicemente single”, gestore di un negozio di calze pregiate ereditato dal padre e curatore di un tecnologico orto allestito sul terrazzo. La sua filosofia di vita è racchiusa tutta qui: “Se ogni cosa stessa ferma al proprio posto…”. Però il bar che frequenta sin da ragazzo è stato comprato da un egiziano (addio quindi ai gustosi caffè detti “marocchini”), e un immigrato senegalese, che lo chiama “amico” senza conoscerlo, gli fa concorrenza sleale vendendo calze e calzini a prezzi stracciati davanti al suo negozio.
Può durare? No. Infatti l’ometto, che non è razzista ma sta perdendo la pazienza, decide di rimettere le cose a posto, s’intende a modo suo. Intontisce col sonnifero il molesto Oba, lo lega, lo carica sul furgoncino Doblò e insieme partono alla volta del Senegal, per riportarlo da dove viene, a casa. Ai due si aggiungerà Dalida, la sorella di Oba, o presunta tale: bella come una gazzella, nobile come una principessa, anche piuttosto scaltra nell’abbindolare il misantropo. Che poi tanto misantropo non è: ha solo bisogno di vivere un’emozione in più, di scrollarsi di dosso quella patina di polvere malinconica.
Il road-movie di Albanese, che torna alla regia 16 anni dopo “Il nostro matrimonio è in crisi”, non ha l’andamento crepuscolare/avventuroso del bel film tedesco “L’ultimo viaggio” che esce sempre il 29; l’attore-regista sbriga tutto in tre tappe, punteggiate da situazioni tra il buffo e l’inverosimile, naturalmente nell’attesa di approdare nel polveroso villaggio senegalese dal quale partirono i due “fratelli”.
La morale della faccenda riassunta nel pistolotto finale sotto forma di lettera? “Non esiste ordine migliore di un sano disordine”. Siccome c’è una sorpresa, meglio non svelare l’intreccio degli eventi, peraltro abbastanza prevedibile.
Come regista, Albanese imprime uno stile alternate al suo film: surreale/freddo/ironico, vagamente alla Kaurismäki, nell’incipit che descrive la vita rattrappita dell’ometto; più colorato, all’italiana andante, nello scorrere del lungo viaggio in Doblò con traversata marina.
Se l’intento politico è chiaro a partire dal titolo, nel senso di una critica sferzante al tormentone leghista “aiutiamoli a casa loro”, meno chiaro è lo sviluppo psicologico dei personaggi, pure l’approdo dell’allegoria fiabesca, con un pizzico di politicamente scorretto e il solito balletto in terrazza. Poi, certo, Albanese è un bravo attore, capace di sfumature inattese, di sguardi a volte toccanti, di affondi efficaci; mentre i due compagni di viaggio, i francesi Alex Fondja e Aude Legastelois, s’intonano bene al clima della bizzarra immigrazione alla rovescia. Appunto, “contromano”.
Michele Anselmi